YARA E IL GRANDE SERPENTE

 

 

Nota dell’autore:

La presente novella trae spunto da miti e leggende dell’Amazzonia, dai contenuti certo affascinanti, ma dei quali (come da sempre e dappertutto avviene nelle mitologie) esistono una pluralità di versioni; pertanto, la presente stesura è in gran parte frutto di personale ispirazione creativa, alimentata da genuina passione per l’arte dello scrivere e guidata, passo dopo passo, dalla percezione della natura come una vivente realtà che, al di là delle apparenze, è spirituale nella sua vera essenza.

 

1- La bambina dagli occhi color smeraldo

Doppio Uccello era profondamente turbato quella sera, tanto da non riuscire a dormire. Camminava avanti e indietro nella sua tenda, incerto sul da farsi. La sua favorita aveva partorito una bambina una settimana prima, morendo subito dopo il parto, ma non era certo la prematura scomparsa della sua compagna che lo turbava: lui era il Cacicco, vale a dire il Capo Supremo della tribù, e poteva avere tutte le donne che voleva! Pertanto, aveva disposto che alla defunta fosse riservato un solenne funerale -degno della sposa fedele di un Grande Capo quale Egli era- e il giorno successivo aveva festeggiato con la stessa solennità le nozze con la nuova favorita, che era anche più giovane e più bella di colei che l’aveva preceduta in tanto invidiabile ruolo. Ciò che lo preoccupava era Yara (questo era il nome che aveva scelto per la neonata), bambina certamente sana e bellissima, ma davvero strana! La prima cosa che lo aveva turbato erano i luminosissimi occhi verdi che splendevano come smeraldi preziosi: nessuno in quella tribù aveva occhi di quel colore e mai aveva visto nulla di simile nella sua vita. tutti gli indigeni, infatti, avevano gli occhi scuri, come scura era la loro pelle, per via della luce e del calore del Sole tropicale, che faceva sì che in quelle terre regnasse un’eterna estate. Era davvero sua figlia quella bambina? Gli sembrava impossibile che la sua devota ed innamoratissima compagna avesse osato tradirlo, e ancor più incredibile che qualcuno fosse stato così incautamente ardito da entrare nel letto della moglie del Cacicco e che per di più nessuno dei suoi fedelissimi sudditi avesse notato la tresca! E poi chi mai avrebbe potuto essere il padre? Non si era mai visto in quelle terre un uomo cogli occhi color smeraldo! Ma c’era qualcos’altro che lo turbava, se possibile ancora di più: gli occhi dei neonati non hanno espressione, l’unico sentimento che essi sanno esprimere è lo stupore per il mondo sconosciuto e per loro incomprensibile che vedono per la prima volta, ma gli occhi di sua figlia (ammesso che tale fosse) avevano una strana luce di consapevolezza, sembrava lo sguardo indagatore di una donna dotata di saggezza e discernimento! Lui era un coraggioso guerriero, ma si sentiva stranamente turbato da quella neonata, perché c’era in lei qualcosa che non comprendeva. Al mattino avrebbe chiesto il parere di Nebbia Luccicante, lo Stregone della tribù, che certamente, da Grande Saggio ed esperto delle Arti Magiche qual era, avrebbe potuto dare una risposta convincente ai tanti dubbi che lo attanagliavano!

 

2- La profezia dello Stregone

Il sole era appena sorto nel cielo quando giunse Nebbia Luccicante, sempre sollecito a rispondere alle richieste del Cacicco; esaminò attentamente la neonata, poi consultò gli Spiriti degli Antenati, evocandoli con un rito cui allo stesso Doppio Uccello non fu consentito di assistere per non violare il Taboo; infine, lo Stregone tornò dal Capo tribù e, con tono solenne che cercava di non tradire l’angoscia che però gli traspariva dal volto così parlò : “Grande Capo, ho appreso dai Venerati Spiriti degli Antenati cose che certamente ti dispiaceranno, ma io, come ben comprendi, sono costretto dai miei doveri sacerdotali e dalla mia lealtà di suddito a dirti tutto senza reticenza alcuna: tua figlia è posseduta da un Demone color Smeraldo, molto potente e molto pericoloso… il giorno che gli occhi di Yara si poseranno sulla loro immagine riflessa, egli emergerà dal Profondo e la divorerà in un sol boccone; poi la perfida entità sarà causa della tua morte e di quella dei tuoi valorosi guerrieri! Hai solo un modo per evitare che si realizzi questo tragico destino: uccidi la bambina ora, subito, di tua propria mano! Tagliale la gola con il tuo coltello affilato e il perfido Demone tornerà per sempre nell’Abisso dal quale è venuto! Non rinviare l’uccisione: bada che, in caso contrario, verrà un giorno in cui ti pentirai amaramente di non averlo fatto, ma allora ti accorgerai che sarà troppo tardi. Ma ti avverto: non guardarla negli occhi prima di ucciderla, o il Demone che è in lei ti sottometterà il cervello senza che tu ne abbia consapevolezza!”. Ciò detto, Nebbia Luccicante si inchinò profondamente di fronte al Cacicco e, dopo averne chiesto il permesso, uscì dalla tenda, lasciando Doppio Uccello solo di fronte ad una difficile scelta.

 

3- La decisione del Cacicco

La funesta profezia, della cui veridicità egli non dubitava (tutte le passate previsioni dello Stregone si erano infatti puntualmente sempre avverate), aveva riempito di angoscia Doppio Uccello, che era molto indeciso sul da farsi: certo, sgozzare a sangue freddo una neonata inerme non è piacevole nemmeno per un uomo aduso ad uccidere come egli era, e ancor meno piacevole diventa se la neonata in questione è la propria figlia, ma ciò che più lo preoccupava era il fatto che fosse unanimemente considerato Taboo spargere il sangue del proprio sangue e temeva che l’uccisione della neonata avrebbe attirato su di lui una sinistra fama di crudeltà ed empietà: vero che lui era il Grande Capo e non doveva rendere conto a nessuno, ma chi detiene il potere (come gli aveva insegnato il suo Saggio Padre) deve guardarsi dall’impopolarità per non rischiare di essere deposto. Per converso, pensò di avere il preciso dovere di uccidere la bambina per salvare non soltanto la propria vita, ma anche quella dei suoi guerrieri: pertanto, non poteva non farlo, anche a costo di sfidare apertamente il Taboo ed incorrere nella riprovazione sociale. Presa così la propria decisione, Doppio Uccello estrasse il suo affilato machete e si diresse verso la figlia innocente. Ricordò che lo Stregone gli aveva raccomandato di non guardarla negli occhi ma, a quel che sembrava, non vi era questo pericolo perché la bimba dormiva tranquilla con gli occhietti ben chiusi, ignara (o almeno così egli credeva) di quello che le stava per capitare; egli alzò con rassegnata determinazione la lama omicida, ma proprio quando stava per vibrare il colpo, Yara aprì improvvisamente gli occhi rilucenti e li fissò per una frazione di secondo in quelli del Cacicco, chiudendoli poi nuovamente senza che egli se ne fosse reso conto e Doppio Uccello abbassò la lama, perché un pensiero si era introdotto nella sua mente: “Poiché, come ha detto lo Stregone, il Demone emergerà soltanto quando Yara vedrà il riflesso dei suoi stessi occhi, non sarà necessario ucciderla per impedire questo evento, ma basterà prendere adeguate precauzioni per far sì che mia figlia non veda mai, nel corso della sua vita, l’immagine riflessa del suo volto: niente spargimento di sangue, niente violazione del Taboo, niente riprovazione sociale!” Su quali dovessero essere le precauzioni “per salvare capra e cavoli” (come si direbbe al giorno d’oggi) aveva le idee chiarissime: un pensiero articolato aveva improvvisamente preso forma nella sua mente proprio un attimo prima di vibrare il colpo mortale. E se lo Stregone avesse trovato da ridire lo avrebbe imperiosamente azzittito: dopo tutto, il Capo tribù era lui! Il Cacicco era convinto di avere avuto un’idea geniale e non si rendeva conto che era stata invece l’idea ad avere lui e, dopo averlo ghermito, lo trascinava, ancora ignaro, verso il suo destino!

 

4- Venti anni dopo

I ventidue guerrieri sedevano in mezzo alla lussureggiante vegetazione dell’ immensa foresta dell’Amazzonia, sempre vigili e attenti a non farsi sorprendere da qualcuna delle numerosissime belve fameliche che vi si aggiravano alla ricerca di cibo, dal morso letale di un serpente o dalla pericolosa puntura di ragni ed insetti velenosi. Erano ormai molti anni che si trovavano in quel luogo bello e pericoloso, mandati là dal loro Cacicco, con l’incarico di proteggere la vita di Yara e di sorvegliarne continuamente le mosse perché non potesse tornare indietro né avvicinarsi a fiumi, laghi o pozze d’acqua che avrebbero potuto rifletterne l’immagine; ricordavano ancora l’ordine perentorio rivolto loro da Doppio Uccello: “Mia figlia è stata colpita da una terribile maledizione: se dovesse vedere la sua immagine riflessa verrà divorata da un Demone! voi siete i miei guerrieri più valorosi e ho fiducia che farete in modo che ciò non avvenga, ma badate: se doveste fallire non potrete certo sfuggire alla mia ira!”; ciò detto, aveva affidato loro la bambina appena svezzata dal latte delle balie. I guerrieri avevano protetto e sorvegliato Yara per anni, l’avevano vista trasformarsi in una splendida adolescente dal corpo perfetto e dai magnetici occhi color smeraldo. Quegli uomini ne subivano tutti il fascino e ciascuno di loro sognava segretamente di conquistarne il cuore, anche a costo di sfidare l’ira temibile del Cacicco: ma la fanciulla non mostrava alcun interesse per nessuno e, quando le rivolgevano la parola, sembrava distratta, sempre assorta in pensieri misteriosi. Yara passava le sue giornate contemplando la volta celeste e il moto degli astri ed osservando la lussureggiante vegetazione; si inebriava del profumo dei fiori, ammirava le splendide farfalle tropicali, i variopinti uccelli e i tanti animali che si aggiravano nella foresta, senza mostrare alcun timore nemmeno per quelli feroci; discorreva tutto il giorno con la Natura, immergendosi con tutta l’anima nella Foresta Vergine in cui si trovava: non voleva certo sottrarre tempo a quel mistico dialogo dedicandosi a banali conversazioni e per di più con quegli uomini che, sia pure per ordine di suo padre, loro Cacicco, la privavano di ogni libertà, seguendola ovunque e controllandone ogni movimento. Come avrebbe voluto fuggire! Non certo per tornare alla casa paterna, ma per poter esplorare liberamente quella Foresta Selvaggia con la quale si sentiva in perfetta sintonia e spirituale comunione: ma appena tentava di allontanarsi, i suoi cortesi ma inflessibili carcerieri (perché come tali lei li percepiva) glielo impedivano.

 

5- Le Farfalle Blu

 

Un mattino, mentre i raggi del Sole appena sorto riversavano sulla sconfinata foresta un tripudio di luci e di colori, un fitto sciame di splendide e frementi Farfalle Blu parve materializzarsi dal nulla nelle immediate vicinanze di Yara: molte presero a volteggiare intorno a lei, molte altre si posarono delicatamente sul suo corpo, sfiorandola con le ali e con le zampette. La fanciulla, stupita e affascinata, ebbe l’impressione che volessero dirle qualcosa… ah, se soltanto avesse conosciuto il linguaggio delle farfalle! Ma (ne era certa in cuor suo) l’avrebbe imparato presto! Qualche ora dopo, uno dei suoi zelanti custodi si avvicinò a lei: “Yara -le disse- sono ore che stai lì impalata a contemplare le farfalle, basta ora! Lascia perdere quegli inutili insetti e vieni a mangiare, che oggi abbiamo preparato un pasto davvero squisito: pensa che abbiamo scannato un cinghialotto da latte, un cucciolo dalle carni tenerissime! Non ti viene l’acquolina in bocca solo a pensarci?”; la fanciulla diventò paonazza per l’ira repressa e replicò: “Parli da uomo rozzo e volgare qual sei e arrivi, oltretutto, nel momento meno opportuno! Le Farfalle Blu mi stanno insegnando il loro linguaggio, un linguaggio che non è fatto di parole, ma di palpiti e di fremiti, di profumi e di aromi, pensi che in un momento come questo io possa partecipare al vostro squallido pasto? E per di più consumato non con il corpo di un vigoroso e combattivo cinghiale, ucciso dai cacciatori non senza rischi per la propria incolumità, ma con quello di un innocuo cucciolo assolutamente non in grado di difendersi?” L’uomo, visibilmente contrariato, si allontanò scuotendo la testa; lui e tutti i suoi compagni pensarono che la povera ragazza fosse impazzita,  “una persona che passa ore in compagnia degli insetti, nell’assurdo convincimento di poter imparare il loro linguaggio, non può certo essere sana di mente e ancor più grave deve essere considerata la sua follia se ella ha addirittura rinunciato ad un pasto prelibato per dedicarsi a questa insulsa ed oziosa pratica; che dire, poi, della sconcertante opinione, in palese contrasto col più elementare buon senso, che sia preferibile andare a caccia di cinghiali adulti? Quando invece è del tutto evidente che uccidere un cucciolo sia molto meno faticoso e completamente scevro di pericoli, oltre al fatto che le sue carni sono molto più tenere e gustose!”, commentavano con convinzione quei valentuomini, mentre erano intenti a spolpare di gusto le tenere cosce del cucciolo che avevano da poco ucciso e abbrustolito. Ma Yara non badava a loro, rapita com’era in un’estatica contemplazione della Danza delle Farfalle Blu.

 

6- La fuga di Yara

Il branco di cinghiali seguiva con l’olfatto le tracce lasciate dal cucciolo disperso e, alla sua testa, c’era una grossa femmina (con ogni probabilità la madre) che appariva particolarmente furente ed aggressiva; gli animali non tardarono a raggiungere la radura nella quale gli uomini stavano banchettando: alla vista del corpo spolpato e martoriato del povero innocente e dei feroci bipedi intenti a succhiare avidamente gli ultimi residui di midollo dalle ancor tenere ossa, la furente cinghialona che guidava il branco lanciò un urlo straziante e si lanciò all’attacco caricando a testa bassa, seguita prontamente dagli altri cinghiali, ma gli uomini, da guerrieri esperti quali erano, brandendo le lance aguzze e gli affilati machete, reagirono con prontezza e ne nacque una mischia furibonda e sanguinosa. Fu a questo punto che Yara, cogliendo al volo l’occasione insperata, fuggì di corsa, immergendosi nella folta vegetazione e scomparendo alla vista di quelli che aveva sempre considerato i suoi carcerieri. Per la prima volta nella sua vita era libera! Mentre correva a perdifiato in quei luoghi a lei sconosciuti, notò con gioia che l’intero sciame delle Farfalle Blu la stava seguendo, poi comprese che non era così: gli splendidi lepidotteri non la seguivano, ma la guidavano! E loro la strada la conoscevano benissimo! E fu così che la fanciulla seguì fiduciosa l’affascinante sciame attraverso l’intricato labirinto vegetale, inebriata dalla gioia, mai prima conosciuta, di essere padrona di sé stessa e divorata dalla curiosità di scoprire dove l’avrebbero portata le misteriose Farfalle Blu, finché un maestoso ed immenso fiume non le si parò dinanzi agli occhi attoniti.

 

7- Il Rio delle Amazzoni

Il Grande Fiume si estendeva a perdita d’occhio e gorgogliando scorreva sinuosamente in mezzo alla lussureggiante vegetazione, mentre i raggi del sole tropicale accendevano barbagli fiammeggianti nelle acque limacciose. Yara, che non aveva mai visto nulla di simile in tutta la sua vita, si fermò un momento, ammirata e nello stesso tempo turbata, perché qualcosa dentro di lei le sussurrava che quel luogo meraviglioso era sacro e vivente e che lei ne sarebbe stata irreversibilmente trasformata, ma come? Perché? Non riusciva a capire! Mentre era ancora incerta sul da farsi, le Farfalle Blu raggiunsero il fiume e cominciarono a svolazzare ripetutamente sopra le acque, quasi eseguissero una misteriosa danza rituale. La fanciulla andò verso di loro, così raggiungendo la riva del fiume; poi ne guardò da vicino la corrente con ammirata curiosità. Fu allora che Yara vide per la prima volta il riflesso del suo viso, fluttuante sulle acque. Rimase particolarmente stupita e affascinata osservando il verde scintillio dei propri stessi occhi, perché mai ne aveva visti di quel colore in nessun essere umano: non riusciva a staccare lo sguardo da quel riflesso che l’acqua del Fiume le aveva rivelato! Poi, con un brivido, ebbe l’inquietante sensazione che quegli occhi non fossero soltanto un riflesso, ma che appartenessero a qualche misterioso abitatore delle Acque Profonde che continuava a fissarla. Spaventata tentò di distogliere lo sguardo, ma non ci riuscì e se si fosse trattato di un Crudele Mostro Acquatico che la stava ipnotizzando per farla sua schiava e sottoporla ad ogni genere di abusi e di umiliazioni? La prese una gran voglia di fuggire, ma, come in un incubo, non riusciva a muoversi: era veramente vittima di un maleficio o forse era bloccata da un conflitto interiore? Con quest’ultimo pensiero, prese coscienza che una parte di lei non voleva affatto fuggire, ma che anzi desiderava fortemente conoscere la Misteriosa Creatura che viveva nel profondo del fiume, e i cui verdi occhi erano così simili ai suoi da apparire un loro riflesso.

 

8- L’Incontro col Dio-Serpente

 

Così Yara continuò a fissare l’immagine dei suoi occhi riflessa nell’acqua, finché essi diventarono sempre più grandi, fino a tingere di verde tutto l’immenso fiume. Infine emerse dal profondo del Rio delle Amazzoni un anaconda gigantesco: le sue verdi spire si estendevano a perdita d’occhio fino all’orizzonte e davano l’impressione di spingersi anche oltre; il formidabile rettile protese l’enorme testa verso la fanciulla che, intimorita e contemporaneamente affascinata dal Mostro, proruppe: “Tu hai l’aspetto di un anaconda, ma non puoi essere veramente tale: nessun serpente, per quanto grande, può raggiungere le tue titaniche dimensioni!” “Io sono l’Entità spirituale che costituisce la Vera Essenza del Rio delle Amazzoni -rispose il Misterioso Essere- sono Colui che, nella notte dei tempi, serpeggiando sul morbido suolo col mio corpo serpentino, ho scavato il letto di questo grande fiume perché esso potesse scorrere irrorando la terra e dando vita alla foresta selvaggia che lo circonda, così ricca di vegetazione e brulicante di animali di innumerevoli specie; da allora, il mio mistico corpo sinuoso serpeggia da milioni di anni e per molte migliaia di miglia generando la Vita e, con essa, la Morte, che della Vita è il necessario ed inseparabile complemento”. Sempre più stupita e sempre più affascinata, Yara chiese all’incredibile Entità: “Tu sei emerso dalla mia immagine riflessa nell’acqua del Grande Fiume, non mi pare possibile che ciò sia avvenuto per caso! Potresti spiegarmi? Muoio dal desiderio di capire!”; “Infatti non è stato un caso-rispose il Colossale Serpente- tutto ciò che è avvenuto doveva avvenire… io e te appariamo molto diversi nella forma, ma posso assicurarti che siamo molto simili nell’Essenza Spirituale”. La fanciulla si guardò attorno e vide lo sciame di Farfalle Blu che continuavano a danzare intorno a lei e al Grande Serpente in quella che a lei stranamente sembrò essere una sorta di danza nuziale, poi, con voce esitante, bisbigliò: “Ancora non comprendo.” “Comprenderai fra poco, ora togliti i vestiti e tuffati senza paura nell’acqua del Grande Fiume: fra le mie flessuose spire comprenderai tutto! Non esitare ancora: è tanto tempo che ti aspetto!”. E Yara non esitò più: si tolse i vestiti e si gettò, completamente nuda, nelle acque del Rio delle Amazzoni e il serpente la avvolse interamente fra le sue umide spire, coccolandola con impensabile delicatezza ed accarezzandola dolcemente dappertutto; poi, con la rossa lingua biforcuta, leccò a lungo, fin nei più intimi recessi, sia il corpo che l’anima della fanciulla. Fu così che i loro corpi, in preda ad un estatico abbandono, si unirono, insieme alle loro essenze spirituali, e la ragazza percepì l’esistenza di un mistico ed antico legame, di una straordinaria affinità spirituale col Serpente: “Sai, ti ho visto oggi per la prima volta, ma ho l’impressione di averti conosciuto da sempre” mormorò lei, ansimando per l’estasi che la invadeva facendo vibrare tutte le fibre del suo corpo; allora l’immenso rettile aprì le enormi fauci e così sibilò: “Entra con fiducia nella mia bocca, affinché noi due possiamo fonderci in una sola Entità”. Yara osservò l’immensa cavità orale spalancata del rettile, che gli sembrò molto simile ad una Caverna, una Oscura Spelonca piena di misteri che (ne era certa) doveva contenere Tesori Favolosi e Inestimabili, riservati agli audaci che colà osassero avventurarsi: fu così che ella, senza paura, ma pervasa da un intimo ed indescrivibile entusiasmo, si addentrò nuda nella incommensurabile bocca, e continuò ad avanzare finché il Serpente non la ingoiò tutta intera.

 

9- L’ira del Cacicco

Gli uomini erano alla fine riusciti a mettere in fuga i cinghiali che li avevano aggrediti e subito si erano lanciati all’inseguimento di Yara, seguendo le tracce che la sua corsa aveva lasciato nella folta vegetazione: dovevano riprenderla, o sarebbero incorsi nell’ira temibile di Doppio Uccello. Pertanto, corsero a perdifiato, in preda ad una comprensibile ansia, in mezzo alla folta vegetazione, fino a raggiungere il Rio delle Amazzoni. Colà giunti, quello che videro li lasciò sbigottiti: la figlia del Cacicco, completamente nuda, era dentro la bocca di un serpente di inaudite dimensioni! Essi, nel tentativo disperato di salvare la fanciulla, stavano per colpire lo spaventoso rettile con le lance acuminate, ma era troppo tardi, perché prima che essi potessero raggiungerlo, il mostro aveva ingoiato Yara, per immergersi poi nel profondo delle acque del Grande Fiume. I guerrieri, attoniti e sbigottiti, decisero comunque, come era loro dovere, di tornare al villaggio a riferire l’accaduto al Cacicco, poi si sarebbero gettati in ginocchio di fronte a lui e, in presenza dell’intera tribù, l’avrebbero supplicato di essere clemente. Doppio Uccello, pur molto adirato, in quell’occasione si dimostrò (almeno in una certa misura) magnanimo: “Vi avevo incaricato di vigilare su mia figlia e di garantirne l’incolumità e ora mi dite che ella è stata divorata da un enorme anaconda! Per la vostra inettitudine meritereste la morte! Ma la cosa che più desidero non è far vendetta su di voi, ma sul mostruoso e vorace rettile! Nessuno deve poter dire che si può uccidere la figlia del Cacicco senza subire letali conseguenze! Perciò dovremo massacrare quella bestiaccia e, date le sue temibili dimensioni, ho bisogno dell’apporto di tutti i guerrieri della tribù, compresi voi. Dopo l’uccisione dell’immondo anaconda stabilirò quale dovrà essere il vostro castigo”. E fu così che il bellicoso Cacicco, e con lui, al gran completo, i guerrieri della tribù, lasciarono il villaggio, dirigendosi baldanzosi verso il Rio delle Amazzoni; tutti inveivano contro il Grande Serpente, urlando a squarciagola (forse per farsi coraggio) che il Mostro non aveva scampo e che l’avrebbero fatto a pezzi. Urlavano tutti, tranne uno: lo Stregone taceva, cupo in volto, seguendo suo malgrado il bellicoso corteo con l’espressione attonita di un condannato a morte che, cosciente dell’ineluttabilità del suo destino, si lascia condurre docilmente verso il luogo del proprio supplizio.

 

10- La battaglia

Raggiunto il Rio delle Amazzoni, Doppio Uccello ordinò di avvelenarne le acque, così “il Grande Serpente sarà costretto a venir fuori e proverà sulle sue carni la punta acuminata delle nostre lance, anch’esse intrise del più micidiale dei veleni”; l’ordine fu prontamente eseguito, e ben presto molti pesci, anfibi e rettili emersero in superficie negli spasimi dell’agonia, mentre gli uomini attendevano ansiosamente che la stessa sorte toccasse all’Immane Anaconda. Poco dopo l’Immenso Serpente emerse dall’acqua ma, contrariamente alle loro aspettative, appariva adirato, ma in ottima salute. Poi, con loro grande stupore e sconcerto, il Terrificante Essere si rivolse agli umani con parole per loro intelligibili: “Stolti! Credevate veramente di potermi uccidere? Sappiate che io sono Immortale! Ma voi, col vostro sconsiderato veleno, state facendo un’inutile strage di animali acquatici, con ciò turbando l’equilibrio della vita, io non posso permetterlo! Perciò vi intimo di tornarvene subito al vostro villaggio! Andatevene senza indugio: è la vostra ultima possibilità di restare vivi!” “Non soltanto hai divorato mia figlia, ma osi anche darmi degli ordini, razza di viscido mostro? Tu non hai assolutamente compreso con chi hai a che fare! Credi che la tua insensibilità al veleno possa metterti al riparo dalla mia ira? Prova allora la punta della mia lancia”, urlò istericamente Doppio Uccello, scagliando l’arma sul Serpente e centrandolo in pieno nella gola; poi, rivolgendosi ai suoi uomini, ordinò: “Tirate! Tirate tutti e che nessun lancio venga sprecato! Massacriamo questa bestiaccia presuntuosa che si crede immortale, non rendendosi conto che la sua vita è giunta al termine!”. Spronati dalle parole battagliere del furibondo Cacicco, gli uomini tirarono tutti, e tutti centrarono il bersaglio, ma il Serpente, anziché crollare, ad ogni ferita diventava sempre più grande: si gonfiava sempre di più, la sua testa già si trovava molto al di sopra dei pur giganteschi alberi secolari dell’Amazzonia e con lui si gonfiava anche l’acqua del fiume: accanto al corpo del formidabile Anaconda si ergevano imponenti delle enormi e mugghianti colonne d’acqua! Così gli uomini continuavano a colpire, convinti così di poter uccidere il loro Avversario, e quest’ultimo continuava a gonfiarsi, insieme all’acqua spumeggiante del Rio delle Amazzoni, finché, improvvisamente il Grande Serpente esplose in mille pezzi!

 

11- Nemesi

“Evviva! Evviva!  L’abbiamo ucciso!  Abbiamo vinto!” Il Cacicco aveva appena iniziato ad esternare la sua gioia selvaggia per la vittoria che gli sembrava di avere ottenuto sul Grande Serpente quando fu investito, insieme a tutti i suoi uomini, da un’immane e violentissima ondata: il Rio delle Amazzoni, furente come non mai, era uscito dal suo letto abbattendosi su di loro con incontenibile violenza! Gli uomini, sbatacchiati come fuscelli contro gibbosi tronchi d’albero e sassi aguzzi, ne ebbero le carni straziate e le ossa frantumate mentre le acque tumultuose e lorde di sangue, introducendosi di forza nelle loro gole, soffocavano sul nascere le urla della loro straziante agonia. L’ultimo rimasto in vita era Doppio Uccello, che, aggrappato ad un tronco galleggiante, si dibatteva nelle acque impetuose tentando disperatamente di raggiungere la terraferma: “sarebbe una atroce beffa del destino se io dovessi morire affogato dopo aver sconfitto e ucciso il Grande Serpente”, pensava angosciato il bellicoso Capo-Tribù, mentre il suo sguardo attonito cadeva sui cadaveri martoriati dei suoi guerrieri che sembravano eseguire una lugubre danza funebre intorno a lui. Ad un certo punto, il Cacicco vide poco lontano da sé una ragazza la cui straordinaria bellezza era sottolineata dalla completa nudità del suo splendido corpo ma la cosa più straordinaria era che ella, lungi dall’essere travolta dalle acque impetuose del fiume, stava in piedi su di esse senza nessuna difficoltà apparente, anzi sembrava a suo perfetto agio! Fu soltanto quando notò i luminosissimi occhi verdi rifulgere sul suo bel viso che Doppio Uccello comprese di trovarsi di fronte a Yara; sempre più sbalordito proruppe: “Tu! Figlia mia, sono io che ti ho salvato la vita uccidendo il Mostruoso Serpente che ti aveva divorata! Non mi sarei mai aspettato che quell’Immonda Bestiaccia, dopo la sua morte, ti avrebbe vomitata ancora viva!” “Tu nulla sai e nulla hai compreso -rispose la fanciulla- quando ho incontrato il Grande Serpente, Egli mi ha coccolata teneramente fra le sue spire possenti e con la Sua rossa lingua mi ha leccata nei recessi più intimi del corpo e dell’anima: in preda all’estasi mi sono unita a Lui e ho preso finalmente coscienza di chi sono veramente”. A questo punto, dalle labbra contratte del furente Cacicco fuoruscì un urlo che ben poco aveva di umano: “Figlia depravata! Hai pure l’impudenza di fare a tuo Padre lo sfrontato resoconto della tua perversa esperienza lussuriosa! Ti sei fatta leccare dal Serpente nelle parti più intime del corpo e mi dici che hai pure goduto e che hai preso coscienza di chi sei: una puttana infame, ecco quello che sei!!! In un bordello avrei dovuto mandarti, non in Amazzonia! Hai portato il disonore su di me e su tutta la mia stirpe! Ma giuro che, se riesco a salvarmi, la prima cosa che farò sarà ucciderti con le mie stesse mani!!! Come lo Stregone mi aveva giustamente consigliato di fare quando eri neonata!!! Che sciocco sono stato a non dargli ascolto! O Spiriti dei miei Antenati, fate che io non anneghi e giuro che placherò la vostra ira sacrificando in vostro onore la vita di questa svergognata!” “Se la cosa ti può consolare, io non posso disonorare né te né i tuoi antenati, per il semplice fatto che non sono tua figlia ma è inutile che ti dica chi sono, perché non capiresti; è pure inutile che io tenti di spiegarti che tipo di rapporto c’è fra me e il Grande Serpente, poiché hai già dimostrato tutta la tua stupidità e ignoranza dando di tale mistica esperienza, attinente alla sfera del Sacro, un’interpretazione molto banale e volgare, oltre che blasfema”, rispose Yara, che non appariva per nulla turbata dagli insulti del Cacicco; poi aggiunse, mentre un radioso sorriso le illuminava il volto: “Visto che hai tanta paura di affogare, anche su ciò voglio tranquillizzarti: tu non morirai affogato, perché non è questo il tuo destino”. Doppio Uccello comprese il sinistro significato di queste parole soltanto quando un branco di famelici alligatori, emersi improvvisamente dalle acque limacciose, piombarono rapidi su di lui facendo orrido scempio del suo corpo, finché egli non smise per sempre di urlare.

 

Epilogo

Alfine la furia delle acque si placò ed esse ripiegarono lentamente all’interno del letto del Rio delle Amazzoni, mentre splendidi arcobaleni pregni di aromi profumati si formavano per ogni dove, luccicando fra le tante goccioline d’acqua in sospensione, salutati dal canto gioioso degli uccellini: la terra, copiosamente annaffiata dalla violenta esondazione, generò piante rigogliose e fiori bellissimi in misura molto maggiore di quelli che erano stati spazzati via dalla tempesta, mentre i morti, che giacevano sulla sabbia fangosa, non ebbero il tempo di imputridire al torrido sole dell’equatore, perché furono presto interamente divorati da implacabili giaguari e famelici alligatori, che non di rado ingaggiarono fra di loro una ferocissima lotta all’ultimo sangue per contendersi l’ambito e succulento pasto, mentre le voracissime formiche tropicali ripulivano la zona fin dei più minuti brandelli di carne sparsi qua e là: la Vita e la Morte mantenevano il loro armonico ed eterno equilibrio nella bellissima ed immensa foresta. Fu così che il Dio-Serpente, placata la sua ira, tornò nel letto del fiume che aveva solo provvisoriamente abbandonato, e lì ricompose il Suo immenso corpo flessuoso. E Yara, raggiante nella sua splendida nudità, seguita da un folto sciame di Farfalle Blu che Le facevano corona, si gettò ancora una volta fra le Sue umide e carezzevoli spire.

 

 

ALBERTO RUSSO (Cane Sognante)

 

 

 

 

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