LE ORME DEGLI DEI IN ANTICHE CONNESSIONI
“Le origini delle rune non sono ancora chiare. Esse sembrano essere derivate dall'alfabeto nord-etrusco con certe influenze dell'alfabeto latino. L'origine degli alfabeti ogamici (le scritture degli antichi Celti dell'Irlanda e del Galles, e dei misteriosi Pitti della Scozia), è pure molto oscura. Pare, tuttavia, che essi fossero un'invenzione locale dei druidi, ispiratisi in parte all'alfabeto latino e in parte alle rune.”
Questo è quanto compare nell’Enciclopedia Treccani sotto la voce “alfabeti” a proposito dell’origine dell’alfabeto runico, origine che esclude, per accademiche ragioni, quella mitica o per meglio dire divina, delle rune stesse riconducibile al sacrificio di Odino. E naturalmente quando non si è in grado di spiegare un fatto non vi è altro modo, ufficialmente parlando, di trovarne l’origine in un evento contingente come un’invenzione o una mera copiatura da altre fonti. E si ricerca in tal modo tramite la ragione ed i fatti razionali dimostrati e dimostrabili l’origine dell’esistenza di ciò che ci circonda, visibile, tangibile, scientificamente ripetibile e guai il contrario, dimenticando che oltre ai fatti evidenti possano esistere dei nessi più occulti, i quali appaiono all’occhio del sapere ufficiale spesso i più improbabili. E cosi la storia diviene un quadro da disegnare e poi da riempire di colori, un quadro armonioso e rassicurante che per quanto realistico esso non sarà mai la “reale Realtà”, essendo di questa solo una copia di cui compiacersi e rasserenarsi in quanto troppo destabilizzante sarebbe l’alzare il velo e lo scostare la tela per scoprire ciò che vi è Oltre.
E cosi un giorno, percorrendo l’autostrada per lavoro, il collega che faceva da autista mi mostrò dal suo cellulare le fotografie del suo recente viaggio in Etiopia che non esitai a guardarmi affascinata per quasi tutto il tragitto: splendidi paesaggi, visi di donne e di bambini bellissimi e sorridenti, antiche chiese copte di pietra, animali, rocce ed infine il deserto di sale, chiamato dai locali “l’Inferno” per quanto inospitale sia. E nello scorrere queste variopinte immagini i miei occhi (ed il mio cuore) si soffermarono di colpo su una di queste in particolare, illustrante qualcosa che la mia mente registrò subito come anomalia: una scrittura scolpita su un muro di pietra di alcune rovine antiche di cui il mio collega nemmeno ricorda il nome del sito, riportante caratteri molto ben definiti, caratteri non corrispondenti alla attuale lingua etiopica nelle sue due varianti, ma aventi qualcosa fra le sue lettere ignote che a me è parso a dir poco sconvolgente: le Rune! Sì, quei segni cosi ben definiti tra quei caratteri cosi misteriosi apparivano ai miei occhi increduli chiaramente delle Rune, e come vedrete dall’immagine, in particolare le Rune Berkana-Björk, Laguz-Lögr, Isa, Thurisaz e Algiz, alcune speculari alle originali. La mia mente ha iniziato a ricercare freneticamente tutte le connessioni a me eventualmente note fra il popolo etiope e quello nordico, per cercare di capire come quei segni fossero comuni a due popoli cosi distanti e diversi: nulla, il nulla, e dentro di me si faceva strada l’idea, cosi istintiva ed animica, che l’unico legame plausibile fosse la Divinità, ovvero che quegli stessi Dèi, i quali hanno portato la conoscenza delle Rune ai popoli di Odino, fossero per forza di cose gli stessi che hanno visitato in tempi remoti quei popoli di quell’angolo d’Africa, dai lineamenti cosi regolari, quasi caucasici se non fosse per la loro bellissima pelle liscia e scura. Ma la verità non si soddisfa con il sogno e la fantasia e cosi, ricevuta dal collega l’unica informazione in merito, ossia che la scrittura doveva essere molto antica, mi metto a ricercare, sia mediante comparazione dell’immagine con gli archivi Google sia cercando informazioni sulle antiche scritture in Etiopia, e nella ricerca storica mi trovo prepotentemente catapultata nel mito, in particolare in quello della figura, ahimè biblica, della Regina di Saba, quella che per gli autori dei testi vetero-testamentari sarebbe divenuta la sposa di Re Salomone. Tale Regina era descritta come saggia e ricca, amante della conoscenza tanto da essere affascinata dalla presunta sapienza proverbiale del citato re da cui si narra ebbe un figlio di nome Menelik, il quale sarebbe divenuto il primo re d’Etiopia, sempre secondo la tradizione. Ma come si è giunti alla Regina di Saba, il cui nome vero è sconosciuto? Ebbene su un coccio di terracotta, trovato da un adolescente che scavava come volontario presso un sito archeologico a circa venti chilometri a sud–ovest di Gerusalemme, è stata rinvenuta una scrittura contenente dei segni di un antico alfabeto ritenuto appartenere al proto–cananeo o Prima Lingua, molto simile ma non identico a quello oggetto della mia ricerca. Cercando di capire se la scrittura da me notata fosse in realtà altro rispetto alle Rune, ho approfondito la questione scoprendo che esperti della Hebrew University ritengono che il coccio risalirebbe a tremila anni fa, ossia addirittura mille anni prima dei rotoli di Qumran. (Per approfondire la fonte).
Secondo questi studiosi (doveroso ricordare: di una università ebraica) l’epoca di tale reperto corrisponderebbe grosso modo al periodo dominato dalle figure, menzionate nel Vecchio Testamento, di Davide e Salomone, e la sua esistenza comporterebbe la pre–datazione di un alfabeto identico rinvenuto nello Yemen, il quale sempre secondo la loro tradizione sarebbe stato usato dalla Regina di Saba (presumibilmente sposa di Salomone) in quei territori. Sì, perché nello Yemen sono stati effettivamente ritrovati antichi scritti simili non solo in parte al proto-cananeo, ma anche molto simili a quelle che io, cocciutamente, ritengo delle Rune. Tali caratteri, secondo i ricercatori, originerebbero nel Sinai e sarebbero appunto stati poi portati nello Yemen da quella Regina. Coloro che hanno provato a tradurli, usando però come parametro l’ebraico antico, sono arrivati a conclusioni quali il fatto che esse indicherebbero addirittura il nascondiglio della famosa Arca dell’Alleanza in un sito vicino a Mareb (Ma'rib, nell’antico regno di Saba). Questo sito presenta una muraglia di pietra alta venti metri e spessa cinque che secondo la leggenda sarebbe stata fatta erigere dalla stessa Regina di Saba a protezione dell’Arca e del figlio stesso. In sostanza l’uso di questa lingua, che i ricercatori vogliono far corrispondere al proto-cananeo, sarebbe stata utilizzata anche nell’antico regno di Saba. Nello Yemen, sarebbe stato recentemente scoperto il palazzo della Regina, precisamente nel Mareb, i cui muri presentano le medesime iscrizioni. Mentre gli archeologi tradizionali tentano ancora d’interpretare l’alfabeto yemenita come una forma di arabo, questa nuova scoperta di un antico artefatto del medesimo periodo nel sito di Mareb, Yemen, dimostrerebbe che l’alfabeto nacque come un primo sistema di scrittura per il proto–cananeo, precursore secondo loro dell’ebraico. E, sempre secondo la leggenda, la Regina di Saba avrebbe portato questo alfabeto nelle terre d’Etiopia, dove una mano sapiente ne avrebbe scolpito i caratteri giunti sino ai giorni nostri. Molti ricercatori tuttavia obiettano, e non a torto, che tale alfabeto possa essere in realtà un precursore delle lingue semitiche in generale e non necessariamente di quella esclusivamente ebraica.
Personalmente, la spiegazione che quei segni siano riconducibili ad un alfabeto semitico, per quanto antico, sentivo che non era esaustiva. Vero è che i Fenici, di lingua nord semitica, secondo Erodoto “donarono” l’alfabeto ai greci, i quali vi introdussero le vocali e vi apportarono modifiche di adattamento, e in seguito gli stessi Greci influenzarono la lingua degli Etruschi i quali furono le prime genti italiche ad adottare l’alfabeto greco secondo alcuni studiosi. Poiché alcune teorie riconducono l’origine delle Rune alle lingue dei popoli nord italici, nel contesto dei rapporti commerciali soprattutto tra Veneti e Germanici si avrebbe forse un legame molto lontano tra un alfabeto di una lingua semitica e l’alfabeto runico. Ed effettivamente nell’alfabeto etrusco compaiono caratteri somiglianti ad alcuni tipicamente runici. Tuttavia non solo l’alfabeto fenicio, essendo nord semitico, non ha un legame con le lingue sud semitiche quali l’etiope, ma i segni nord-semitici non corrispondono a nessuna logica, né fonetica né grafica. Essi infatti hanno probabilmente origine astronomica e rappresenterebbero la situazione degli astri tra il 2000 e il 1600 a.C.. (Per approfondire la fonte clicca qui).
Che gli alfabeti abbiano origini comuni nelle varie aree geografico-linguistiche non costituisce alcun mistero. Tuttavia non è ancora chiaro come questo specifico linguaggio abbia caratteri cosi simili, per non dire identici, all’alfabeto nordico runico. In merito non ho trovato nulla. E se non fosse stato per la casualità di notare questo nelle fotografie di un normalissimo turista non avrei certo mai pensato di trovare segni runici in terra etiope. E la domanda resta dunque come un tarlo nella testa: perché questa “somiglianza” con le Rune? Cosa ci fanno segni identici alle Rune in un misterioso e antico alfabeto scolpito nelle terre d’Etiopia e dello Yemen? E’ forse parte di un linguaggio universale che i popoli hanno sviluppato o forse solo potuto apprendere dalle divinità che in quei tempi calpestavano foreste e deserti con piedi umani? O è forse tutto ciò il frutto di una coincidenza sbalorditiva? Siamo di fronte alla prova di una lingua non terrestre, della lingua degli Dei travalicante confini lontani nel tempo e nello spazio? Una parziale risposta viene dagli stessi ricercatori che, come ripeto, vedono in quei segni i caratteri di una lingua proto-cananea, ossia di una antica lingua che accomuna tutte le lingue semitiche: essi hanno scoperto che segni simili a quelli dell’incisione del coccio e dei muri dello Yemen (e quindi simili a quelli fenici, etruschi, runici per arrivare al “mio” muro etiope) sono stati rinvenuti incredibilmente in altre parti del mondo, luoghi che con i semiti e la “romantica”, si fa per dire, storia di Salomone e la sua Regina, nulla hanno a che fare. Scritture simili sono state infatti sorprendentemente rinvenute anche nel sud-ovest del Colorado e presso siti oceanici e legati a correnti d’acqua. (Per approfondire la fonte clicca qui).
Se solo si potesse andare oltre ai meri riferimenti biblici espandendo la ricerca oltre i classici orizzonti probabilmente si riuscirebbe ad intravedere il segreto legame tra i popoli, un legame fatto di divinità con caratteristiche simili che, a differenza degli uomini, potevano andare oltre le lunghe distanze e, perché no, oltre il tempo. Potevo veramente essere l’unica ad aver notato tale incredibile fatto? Impossibile, qualcuno avrebbe dovuto essersi accorto. E cosi la ricerca prosegue e stavolta scopro un documentario in lingua russa con descrizione in inglese inerente a una spedizione di scienziati russi al sito archeologico di Axum e Lalibela in Etiopia (in sostanza gli stessi siti da cui con ogni probabilità ha scattato la foto il mio collega). Questi scienziati, analizzando e studiando i caratteri scolpiti nella pietra, arrivarono ad una conclusione incredibile: quei segni farebbero parte effettivamente di un alfabeto runico, per la precisione ungaro-runico ed il sito di Axum sarebbe, secondo loro, un’antica postazione militare risalente addirittura a quattordici mila anni fa, realizzata con le stesse caratteristiche dei siti di Puma Punku e Tihuanacu ossia con una tecnologia di fusione della roccia “impossibile” per l’epoca. (VEDERE FOTO). Finalmente ho una conferma, seppur limitata non avendo altre fonti più attendibili, che qualcosa che ha a che fare con le Rune si trova da migliaia di anni in una terra che apparentemente con le Rune non dovrebbe averci a che fare. Ma non solo. Abbiamo detto che la lingua proto-cananea si sarebbe originata sul Sinai? Ebbene chi conosce gli studi e le traduzioni dal sumerico-accadico del ricercatore Sitchin ricorderà come egli individuasse in quella zona un vero e proprio spazio-porto per l’atterraggio e la partenza di velivoli appartenenti agli esseri Annunaki, gli Dei-alieni dell’antica Sumeria, a quanto pare tecnologicamente avanzati quanto i Deva induisti dotati dei noti Vimana.
Una riflessione sulla Regina di Saba.
Fantasie? Può essere. Recenti ricerche archeologiche hanno tuttavia individuato su questo monte (dove nel vecchio testamento stesso si racconta che vi si posava la “gloria” del famigerato Jahve, tra turbinio di venti e fragore di tuoni rendendo incandescente il monte stesso, poi erroneamente tradotto con roveto) una zona anomala di pietre fuse non si sa come e da chi. E le pietre non si fondono in punti precisi con i falò o il sol cocente. Quella dunque era forse l’epoca in cui gli Dei camminavano con piedi umani sulla Terra, soggiogando gli uomini come il “dio” vetero-testamentario o introducendoli ai più reconditi saperi come gli Dei norreni o i Deva indiani o il Dio Saturno italico? Appare quindi sempre più doveroso immergersi nei testi antichi per leggere il nostro passato e soprattutto quello che gli Antichi, uomini e Dei, hanno voluto lasciarci. E doveroso quindi è smetterla di accettare le interpretazioni bibliche come la vera e unica storia dell’umanità, ma utilizzare quel testo per quello che è: una cronaca del legame di un popolo col loro dio, il loro, quindi non il mio né di coloro che forse leggeranno questo articolo. Ma si può fare di più. La mente dell’uomo è costruita secondo schemi archetipici, gli stessi schemi tramite i quali l’uomo spiega a se stesso la realtà che vive sulla sua pelle. Storie, fiabe, leggende, racconti, vedono nei personaggi che li animano figure archetipiche la cui origine risale alla memoria ancestrale di ognuno di noi e parlano al nostro inconscio. Il Sole, il Padre, la Luna, la Madre, l’Anima e l’Intelletto, la Ricerca della Verità, la Gnosi, la Tenebra, la Luce, il Bene e il Male. E cosi, dati storici come un muro inciso ed un coccio di terracotta possono portare a Verità più grandi se letti insieme a ciò che di simbolico, ma per questo non meno reale, traspare negli antichi testi, di qualunque natura essi siano e a qualunque credo essi appartengano. Essi possono aprire spiragli sulla storia dell’uomo e del suo rapporto con gli Dèi, sia esso stato positivo o negativo. Tutto questo, compreso il fatto che molto di quel testo, (mi riferisco alla Bibbia), è stato copiato da storie, cronache, miti e leggende di altri popoli più antichi, mi ha portato anche a domandarmi chi fosse veramente la Regina di Saba, il cui nome non compare in nessuna scrittura, in virtù di una tradizione biblica, raccontataci dalla teologia, secondo la quale chi non ha legami con Jahve non è degno di avere il suo nome menzionato in quel libro? Chi sei tu, dunque, o Regina, la cui bellezza e saggezza ha incantato interi popoli? Regina il cui culto era onorare gli Dèi che disgraziatamente avresti rinnegato per unirti alla prepotenza maschile del servo dell’arrogante dio unico?
“Il tuo grembo è come un tondo calice che sempre trabocca di bevanda. Il tuo corpo è un mucchio di frumento ornato da rose. I tuoi due seni sono come due cerbiatti gemelli. Il tuo collo somiglia ad una torre d’avorio. I tuoi occhi ricordano gli stagni di Hesbon e quelli alle porte di Bathrabbims. Il tuo naso è come la torre del Libano che si scorge guardando verso Damasco. Il tuo capo s’innalza sulle spalle come il monte Carmelo. La chioma sul tuo capo sembra porpora regale raccolta in ampi drappeggi. Come sei bella e amabile, tu, amore mio, fonte di piacere!” (Cantico dei Cantici, VII- 2, 6)
Molti sono propensi a ritenere che questo brano erotico, ritenuto profano da molti e che per qualche motivo ignoto è stato inserito nei testi biblici, sia in realtà una poesia dedicata alla stessa Regina di Saba dal suo amante e marito Salomone. Di lei parlano alcuni testi sacri, compreso il Corano, tuttavia non vi è traccia storica della sua presenza. E, come accade quando sfugge la solidità delle certezze e dei dati documentabili, a questo punto iniziano a scorrere le sotterranee acque del Mito e dell’Alchimia, la quale, come noto, spesso utilizza riferimenti erotici per celare pratiche alchemiche. Abbiamo quindi un Re saggio (per come è visto dagli israeliti, non certo per noi che in lui vediamo semplicemente l’avido di ricchezze e potere, l’insolente disturbatore dei Daimon per acquisire informazioni su tesori, come il triste e sanguinario suo grimorio ci ricorda) che attrae a sè, proprio in virtù delle sue qualità, la sua controparte femminile che lo mette alla prova, serbando per lui ricchi doni se l’avesse superata. E cosi accade, il Re dimostra la sua saggezza e solo allora lei si dona a lui in tutto il suo splendido erotismo, divenendo poi fedele consorte, custode della cosa più preziosa e segreta che appartiene al suo amato, sia essa l’arca in questo caso, o qualunque altro simbolico oggetto, non importa. La Conoscenza, l’Intelletto, la femminile Sofia non poteva che essere attratta da colui che era già ricco, ricco di Saggezza, e soltanto a costui essa si unisce divenendo per lui solo Fonte di piacere. Ma la Regina, fedele agli Dei, rinuncia ad essi per seguire l’unico dio del suo sposo. Ecco in un simbolismo la presunzione effimera del successo del culto abramitico, ossia l’assorbimento della Dea Madre nel Dio Padre, l’eliminazione del culto della Dea a favore di un culto maschile e patriarcale, violento e geloso. Chi sei tu dunque, o Regina? Percepisco sfuggente la tua essenza, intravedo il tuo nome fra i nomi degli Dei, potrei anzi già chiamarti per Nome perché sento scorrere dentro qualcosa che me lo fa risuonare familiare. Ognuno di noi sondi il mistero dunque oltre le apparenze e si dia risposta. Lei forse parla ancora oltre il tempo. Lei, bianca come l’avorio e dalla purpurea chioma è altresì nera più del nero.
“Sono nera e tuttavia desiderabile, o figlie di Sion, come le capanne di Kedar, come i tappeti di Salomone. Guardate come sono nera; è stato il sole a bruciarmi così. I figli di mia madre si adirano contro di me. Essi mi hanno posta a custode delle vigne; ma la mia vigna non l’ho protetta. Dimmi tu che ami la mia anima, dove porti gli animali al pascolo, dove riposi il mezzogiorno, cosicché io non debba vagabondare nelle greggi dei tuoi compagni.” (Cantico dei cantici, I- 5,7)
Lei dunque Nera. Quale significato può avere questo nero intenso? Forse lo stesso che si cela dietro le Madonne nere? Che sia il nero della terra d’Egitto, chiamato Kemet, da cui deriva la parola “Alchimia”? Nera come Osiride chiamato il Nero? Nera era la polvere per mezzo della quale avveniva la trasformazione dei metalli, la materia detta “pietra filosofale”? Nera come l’abisso di ciò che ci spaventa e non conosciamo; nera come il noto specchio, porta tra i Mondi; nera come la notte dell’Anima, preludio alla rinascita e all’illuminazione. Nera come la Luna di Lilith. Regina di Saba, Dea della Conoscenza, custode del segreto più intimo dell’uomo, simbolicamente rappresentato dall’arca del Re Salomone. Giustizia sarebbe strapparti a quei testi e donarti il Nome che ti appartiene. Dea-Regina dunque che nel simbolismo medievale viene rappresentata anche in molti cattedrali gotiche, ove sotto la sua lunga veste nasconde un piede d’oca, animale simbolico il cui famoso gioco non sarebbe altro che la rappresentazione allegorica del percorso iniziatico. Anticamente, sulle vesti di pellegrini ed eredi dei templari la Y con una terza asta nel mezzo, la zampa d’oca, simbolizzava la superiorità dello Spirito sulla Materia. Ma questo segno compare anche nell’alfabeto nordico ed ecco che torniamo alle Rune: Algiz, la Runa della vita, rappresentazione schematica dell’albero cosmico che univa Cielo e Terra. Abbiamo dunque un Femmineo che porta con sé Saggezza e Conoscenza, della Saggezza e Conoscenza innamorato, una Regina che offre i suoi doni solo tramite Sfida e Iniziazione. La Regina ed un Albero che unisce Terra e Cielo, l’Uomo con il Divino, una Regina legata ad un antico linguaggio stranamente somigliante a quello che divenne oggetto di dono allo stesso Padre degli Dèi Odino in cambio del suo personale sacrificio, un linguaggio potente la cui conoscenza recondita è fonte di potere, divinazione e sapienza, un linguaggio legato alle Stelle che sembra unire più popoli.
C’è molto da scavare sotto la coltre del Tempo. Molte vie sono ancora da percorrere al buio, muniti della sola fiaccola alimentata dall’amore per la Conoscenza. Molte le orme da seguire. Molti i veli da scoprire. La ricerca è fuori, ma anche dentro di noi. Connessioni dunque, fatte di ombre e impronte sulla sabbia di quegli antichi deserti che il vento del tempo ha solo nascosto ma non cancellato. Connessioni che per quanto azzardate possano sembrare, potrebbero celare una delle chiavi interpretative del Mistero che ci circonda, perché è nell’azzardo, nel salto nell’Abisso e talvolta nel Chaos, che potrebbero emergere altri indizi, altri segni... altre connessioni. Quel che conta è che la ricerca, soprattutto per ogni vero Iniziato, per ogni vero Satanista, non si fermi di fronte alle apparenze e alle verità pre-confezionate, ma sia portata avanti con il lume della Ragione, con la spinta della Curiosità e con la purezza dell’Intento.
Awen Sarasvati
Anno MMXIX
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