TRADIZIONE ROMANA

“D’Italica forza possente sia la stirpe di Roma”

 

E’ un privilegio per un Satanista italiano come me presentare in forma scritta un argomento maestoso come la Tradizione Romana. Nel marasma confusionario che ci sommerge sempre più, fatto di valori sfigurati una voce proveniente dal nostro passato più glorioso sopravvive per ricordarci chi sono i nostri più diretti antenati e dove dobbiamo volgere lo sguardo per non perdere mai il peso della nostra storia. E’ importante fin da subito comprendere che quello che ci stiamo apprestando a descrivere non è un argomento meramente storico, la sua statura lo colloca decisamente su un piano dai contorni più alti, derivante per diritto divino dalla più viva Tradizione Arcaica.

Solo un Satanista che avrà integrato alla sua consapevolezza anche una certa identità di stirpe potrà apprezzare il richiamo potentemente familiare che contiene lo spirito romano più autentico. Basti pensare che tutto ciò che ha un significato in termini di Civiltà sulla nostra mappatura mentale lo dobbiamo indirettamente all’esempio romano. Come molte delle cose che conosciamo oggi e che sono disposte in un determinato modo dall’ambito religioso a quello estetico, passando per quello sociale/legislativo, non avrebbero la stessa forma senza il passaggio della Tradizione Romana sui loro destini. La romanità è uno stato mentale di bellezza e armonia dimostrato dal valore del singolo attraverso la propria casta, non si tratta semplicemente di considerare romano colui che è nato a Roma. La frettolosa concezione a cui siamo abituati non rende giustizia al senso più profondo che la romanità può rappresentare dentro ognuno di noi. Si è Romani in senso lato perché appartenenti e provenienti da una grande Tradizione di famiglia che ha come centro radiante Roma ma che su un altro piano, coinvolge un territorio più ampio e non solo gli abitanti di un’unica città. Il nostro tratto distintivo diventa così la comune consapevolezza prettamente italica.

Sarà dura per un occhio profano comprendere il trasporto quasi affettivo che porta a sentirsi orgogliosamente romani, per lui la storia di Roma si fermerà dove gli storicisti l’anno circoscritta. D’altra parte da cosa è composto oggi il nostro immaginario collettivo? Il Colosseo presente in ogni cartolina turistica, la lotta tra i gladiatori ed i leoni, la sigla S.P.Q.R. divenuto uno slogan vuoto per magliette alla moda e l’immagine sbiadita di tutti gli imperatori che nel corso dei secoli si sono susseguiti con i loro vizi ed hanno contribuito a riempire le migliori pellicole cinematografiche. O un esercito quasi sempre impersonale intento a conquistare mezzo pianeta solo per saziare le proprie manie di grandezza. L’idea della storia romana dei giorni nostri è una barzelletta irriverente che fa intuire la grandezza del tema senza però svelarne gli strumenti chiave che aiuterebbero l’osservatore ad ascendere verso un apprezzamento più sensibile. Si racconta la superficie di ciò che fu l’Impero romano senza però penetrare più di tanto nel cuore trascendente di quell’epoca. Lasciamo dunque al volgo la Roma dei documentari e addentriamoci sicuri nelle sue vene più nascoste fatte del nostro stesso sangue.

Non mi soffermerò più di tanto sulla Lupa di Romolo e Remo per tessere la storia generale di Roma. Che i cultori di un’esposizione più canonica non me ne vogliano. Il mio primario intento sarà quello di offrire una chiave di lettura più particolareggiata innanzitutto del termine Tradizione e poi delle implicazione prettamente spirituali che ne seguiranno. L’accostamento con il Satanismo delle Origini come vedremo strada facendo, non sarà dunque accidentale ma abbastanza motivato. Il senso della Tradizione nasce metafisico per rimanere Sacro, non si tratta di un termine come gli altri la sua estrazione segreta ha origini inaccessibili ma rivelatrici a chi sarà in grado di svelarne l’essenza. Quella che chiameremo Arcaica precede quella romana, ed è sempre stata presente in svariate forme dentro ogni comunità sempre ispirata a seguire un determinato indirizzo naturale. Una volta incontrato il Fuoco del suolo italico si è semplicemente riconosciuta senza sforzi ne incertezze, divenendo il faro di un ceppo animico ben radicato. In questo flusso miracoloso nonostante alti e bassi, slanci a tratti favorevoli e poi contradditori, fino a diventare inesorabilmente decadenti, si può affermare ancora oggi che un’impronta divina ci è stata e che ha lasciato più che in altri posti, i suoi effetti immortali. Perché la differenza tra chi pensa di aver carpito il periodo più aureo di Roma da chi poi lo ha fatto veramente sta tutta qui. Per partire con il piede giusto nei confronti del linguaggio della tradizione Romana bisogna iniziare dai suoi Simboli, sono loro e nessun’altra cosa ad aprire definitivamente il nostro intuito fino a farci avanzare nella consapevolezza che appartiene agli eletti dell’unico Culto. Colui che saprà leggere ed interpretare correttamente la simbologia lasciata dalla tradizione romana più incontaminata, conoscerà la verità su se stesso e di riflesso su chi o cosa non è come lui. Questa è la grandezza custodita da tutta la storia di Roma che bisognerebbe indirizzare ai più giovani in modo che diventino gli adulti degni di domani. Imbambolare invece le giovani menti con piatti filmati nozionistici e sempre più atrofizzandogli l’ispirazione interiore con le stesse nozioni prive di slancio è veramente una perdita di tempo. La Tradizione che come ci ricorda L. Rimbotti, “prende forma col procedere del tempo e con il progressivo allontanamento dall’inizio” ci insegna a rendere speciali le cose che troviamo lungo il nostro cammino in modo da renderle utili alle nostre conclusioni. Una vita dinamica e ricca è l’unico strumento infatti che ci permette di metterci in asse con gli insegnamenti della Roma Occulta, principi tradizionalmente usuali che derivano dalla stessa natura di chi li ha generati nella realizzazione di tutto ciò che si incarna di più autenticamente vissuto. Esiste una Dottrina Tradizionale al di sopra delle parti che stabilisce tutto ciò che rientra nell’inquadramento sensibile di un certo tipo di essere umano, che fin dal suo inizio ha seminato sempre gli stessi elementi legati dalla medesima affinità omogenea, la sua norma sarà la sua etica e lo renderà veramente tradizionale per naturale predisposizione. Un individuo privo di profondità interiore non avrà mai gli strumenti per catturare il tesoro dietro la simbologia lasciata dalla nostra romanità. Egli sarà un cieco al cospetto della Scienza Sacra, un’anima senza gli occhi. L’attuale condizione sociale che viviamo ci porta a pensare che siano stati sempre questi stessi ciechi a banalizzare l’importanza della tradizione dietro la storia narrata sui libri di scuola, ad adombrarne gli aspetti fondamentali in favore dell’esaltazione dell’apparente. La tendenza nel concentrarsi ad una concezione strettamente materiale delle origini mitologiche di un qualcosa è sicuramente una tendenza moderna, si è più portati a concepire un Romolo e Remo esclusivamente come personaggi storici realmente esistiti piuttosto che sotto una luce soprattutto simbolica. Una chiave di lettura più sottile della storia (dal medioevo in poi) ci  è stata lentamente sottratta. E’ giusto specificare che l’intero apparato a cui si rifanno le origini leggendarie di Roma sono Simbologie minuziosamente composte in ogni loro parte per essere interpretate metaforicamente e non solo letteralmente. Dietro c’è sempre un significato che va estrapolato dal contesto per farlo diventare un proprio insegnamento. I sette colli, la lupa che allatta i due gemelli, sono un trattato di ermetismo tramandato sotto le mentite spoglie di origini leggendarie.

 

Il tesoro Iniziatico di Roma si esprime attraverso le mute parole dei suoi Simboli

 

L’inquadramento di Roma andrebbe separato in due blocchi differenti ma complementari;  da un parte avremo la storia tangibile, che dal X secolo a.C. prende vita da uno specifico territorio lungo il fiume Tevere, in un’età specifica definita successivamente dagli storicisti come Regia. Geneticamente parlando il Romano prende forma dallo sposalizio affine tra l’etrusco ed il greco, già presenti sul territorio in quell’epoca. Tale periodo introduce per la prima volta la fondazione di Roma da parte dei due gemelli trovati e allattati da una lupa, ma tale vicenda non è che l’inizio della simbologia nelle trame degli eventi. L’uccisione di Remo da parte di Romolo rappresenta il primo assaggio di un indizio ben preciso che coinvolge universalmente ogni individuo lungo il suo percorso di scoperta interiore.  Infatti Romolo uccidendo una parte di se simile ma contrapposta a lui si fonde finalmente con quella sua stessa parte non più scissa da se medesimo ma fusa in un’unica coscienza risvegliata e diventa non a caso il primo Re (storicamente parlando nel 753 a.C) ma soprattutto Re di se stesso. Qui la dimensione allegorica e quella metastorica diventano un tutt’uno con il significato iniziatico nascosto. E’ un po’ come se gli eventi datati procedessero razionalmente verso una direzione più rappresentativa, mentre sotto il velo degli eventi una certa sensibilità più accorta aveva la possibilità di catturare per esempio nei sette re, uno per ogni colle romano, l’ennesimo segno con una possibile doppia interpretazione. Conoscere i nomi dei personaggi che si susseguirono di epoca in epoca, le fasi in cui nacque la prima forma di potere monarchico e il suo successivo capovolgimento in favore di una forma di governo opposta e non più in mano a una sola persona è semplicemente cronaca che non porterà da nessuna parte se dopo non si useranno strumenti più sottili di comprensione sovra sensibile. La storia di Roma è fin dai suoi albori un trattato di tutto ciò che può succedere in un qualsiasi percorso di vita vissuta, ascesa, pienezza ma anche cambiamento e allontanamento del re dalla propria terra, ovvero da se stessi. La leggenda in sé non rappresenta la fantasia di un qualcosa ma la sua realizzazione metaforica dentro confini spirituali ben determinati. Si dovrebbe osservare con attenzione la narrazione storica di Roma per avere la possibilità di cogliere i più importanti indizi esistenziali che da sempre contiene. Siamo nell’Età Repubblicana, l’iniziale indirizzo che ci ha portato alla più totale pienezza dell’essere cade su se stesso, storicamente ci troviamo nel 509 a.C. a breve si formerà la Res Publica, letteralmente la cosa del popolo, la centralità di se stessi si perde all’esterno per mettere il suo indirizzo in mano ad altri. Nel 287 si arriva alla parità dei diritti e all’uguaglianza ottenuta dall’annullamento della propria unicità. Ogni lotta interna ben descritta dai libri di storia rappresenta su un altro piano una lotta interiore contro noi stessi. Ogni conflitto, evento o aneddoto determinante che impegna l’attenzione degli storici e che viene lasciato nella sua condizione monodimensionale rappresenta potenzialmente l’inizio di un qualcosa di più profondo. Nessuno nega il peso della sostanza tangibile della storia di Roma, la sua grandezza pratica è li davanti  i nostri occhi e non lo si può negare, soprattutto da un punto di vista culturale e sociale gli spunti romani sono tra i più determinanti per intuire una certa coesione interna ed esterna. Un grande esempio di comunità legata da un senso di appartenenza onnipresente, che ancora oggi rimane il modello di ogni pensiero retto e ordinato. Roma ha rappresentato tutto per tutti quelli che si sono dimostrati autentici seguaci del senso tradizionale della vita e che hanno dimostrato una sensibilità superiore rispetto alla media, capaci di rispecchiarsi ancora oggi in ciò che ha ispirato quello stesso marmo bianco dell’arte scultorea. Il messaggio che se ne può cogliere è semplice; Siate ancora ciò che un tempo già eravate, ovvero Grandi. Bisogna essere grandi nel pensiero e nelle aspirazioni, grandi nel proprio animo e grandi nei nostri orizzonti che devono realizzarsi come quelle stesse colonne doriche inamovibili che tutt’ora ammiriamo quando ci rechiamo nella Città Aeterna.

 

Quando si considera un’esistenza come quella di Roma, vecchia di oltre duemila anni e più, e si pensa che è pur sempre lo stesso suolo, lo stesso colle, sovente perfino le stesse colonne e mura, e si scorgono nel popolo tracce dell’antico carattere, ci si sente compenetrati dei grandi decreti del destino” – Goethe.

 

Proviamo adesso a ripristinare l’asse originario dei principi tradizionali nel rispetto di tutto ciò che hanno significato e significheranno sempre nel cuore del giusto e del vero. Non si tratterà infatti di presentare semplicemente il significato di determinate norme generali ma di spiegarne il tratto immutabile del loro valore naturale. I Romani di un tempo seguivano poche regole di vita ma quelle che imparavano a rispettare diventavano l’unico faro da seguire fino in fondo. In ogni situazione imposta dalla vita, che fosse bella o brutta, la forma mentis del romano antico era quella di inquadrare quel qualcosa per renderlo essenziale al suo scopo. Il loro rispetto per delle regole non nasceva solo dalla tendenza a fidarsi di ciò che veniva tramandato ma di considerarlo sempre come un qualcosa che derivava dai propri avi e quindi interconnesso con una parte di se stessi che si ripeteva in loro per essere conosciuto in prima persona e veramente apprezzato senza incontrare più alcun attrito mentale. Quel qualcosa aveva forma di legge perché conteneva quel qualcosa che ne legittimava proprio quel ruolo. La fiducia e la conseguente Fede in qualcosa era un processo spontaneo che veniva considerato con un altissimo senso di riguardo. Colui che aveva fede in qualcosa di più grande, almeno nei periodi più alti del pensiero romano, era colui che veniva considerato generalmente come un individuo audace e quindi forte. Esisteva il piano materiale ed il piano divino, l’uomo nato grezzo ma potenzialmente sovrumano era destinato a ritrovare la strada di casa iniziando dalla sua condizione materiale per poi ascendere sempre più verso quella ultraterrena fatta di forze trasfiguranti ma fondamentali per compiere il proprio destino. Chi nel corso della propria esistenza si fossilizzava nella dimensione materiale/razionale era destinato a non vivere per qualcosa di veramente speciale, ma veniva assorbito da forme passeggere che lo relegavano attraverso modi di pensare e cattive abitudini, a morire senza aver conosciuto veramente prima se stesso e poi il mistero più importante dell’esistenza. Per una certa mentalità spirituale romana si compiva forse il peccato più grande contro se stessi, l’aver vissuto senza aver oltrepassato il confine, senza aver unito le due dimensioni dell’essere nell’unica rivelazione contenuta nella Scienza della natura magica dell’uomo. L’intero universo era un disordine apparente di dualità in movimento continuo, bisognava fortificarsi e ricercare quell’ordine nelle cose per ritrovare il proprio. La parola d’ordine era fondere gli opposti simili e annullare quelli estranei illusori. Si viveva secondo dei pilastri interiori chiamati Norma e Legge che dovevano essere prima testati nella loro veridicità intrinseca durante la pubertà per poi essere tenuti in altissima considerazione durante la fase più matura per non smarrire la propria via. Le correnti della degenerazione d’altra parte erano sempre in agguato pronte a distruggere ed invertire ogni ordine naturale in favore di barbare utopie. Nei frequenti casi di smarrimento morale era sempre quell’onnipresente Ordine Naturale a far ritrovare le redini della propria vita quotidiana. Azione e Contemplazione dovevano essere mantenute in perfetto equilibrio all’interno delle rispettive sfere di competenza, ovvero quella dell’azione per il potere temporale e quella della contemplazione per l’autorità spirituale. Tutto dava l’impressione di essere disposto su un asse immaginario che ne garantiva sempre continuità e chiarezza. Nel romano medio vigeva un forte senso di Giustizia quasi innato che poi troverà modo di fortificarsi ulteriormente attraverso la costituzione di quell’ordinamento giuridico conosciuto oggi come DIRITTO ROMANO. Ogni cosa che in Roma si è rinsaldata entro confini istituzionali ben precisi, che si trattasse della sfera religiosa o più semplicemente giuridica, ha sempre assunto quel determinato carattere immutabile grazia alla qualità di una determinata stirpe altrettanto determinata dal suo sangue. Non esisteva separazione visibile tra vita pubblica e privata o tra dimensione sociale e sfera religiosa, tutto veniva compenetrato. La grandezza culturale di Roma in tutte le sue sfaccettature deriva dalla grandezza della sua origine divina.

Nella concezione di una qualsiasi comunità organizzata la Gerarchia Naturale doveva essere rispettata perché era l’unica a garantire il valore del merito diviso per gradi di appartenenza. Ovviamente anche nella comunità romana la considerazione per una Gerarchia meritocratica era vitale e ci si teneva al fatto che ogni ruolo avesse la sua dignità nell’esercitare la propria capacità utile in primis a se stesso e di riflesso alla propria gente. Allora (e fino al mantenimento di una certa memoria genetica nobilitata) si strutturava il potere gerarchico in base alle personali capacità e più ci si trovava in alto nella scala più aumentava il peso della responsabilità morale. Configurazione interiore e continuità familiare hanno raggiunto negli anni migliori la condizione più vicina alla perfezione. Solo la successiva corruzione ha modificato nel tempo tale meravigliosa tendenza, trasformando quasi definitivamente sia il senso generico della così detta “posizione di potere” sia quello legato alla formazione di una qualsiasi gerarchia non più naturale ma più materialista. Se l’animo umano si fa corrompere il romano muore lentamente nella memoria dei suoi stessi successori non più in grado di guardare oltre la degenerazione di idee un tempo ancora fondanti. Ecco che la società implode su se stessa fino a diventare vulnerabile alle invasioni esterne più violente, il culmine di ciò si potrà chiaramente vedere nel 410 d.C. con il Sacco di Roma ad opera dei barbari Visigoti, ed a crollare non saranno solo templi e statue ma anche l’inviolabilità della grandezza di una Civiltà. 

 

“In qualsiasi parte del mondo, nessun uomo sarà in grado di essere civile senza aver conosciuto prima la storia di Roma” – B M

 

Nella Roma pagana imperiale pre cristiana non esistevano ovviamente comandamenti scritti nel regolare la vita morale di un cittadino ma esisteva un codice di comportamento ben preciso che prendeva il nome di Mos Maiorum, ovvero il costume degli antenati. Indicava l’usanza nell’orientare spontaneamente la propria condotta calibrandola con un codice di valori che dovevano poi puntare al successivo raggiungimento della così detta Pax Deorum hominumque, ovvero quella condizione interiore superiore. Nella vita di un romano bisognava essere forti, giusti e ricercare l’onore: VIRTUS. Mantenere sempre la parola data: FIDES. Onorare gli Dei dei propri padri: PIETAS. Tener saldo il proprio animo e le proprie idee: GRAVITAS. Essere sempre fiero delle proprie origini: MAIESTAS. La vita romana era radicata in qualcosa di invisibile ma onnipresente e dava sempre l’impressione di possedere una direzione ispirata da un qualcosa di più grande a cui bisognava dapprima piegarsi per poi diventare veramente dei liberi cittadini. Nella struttura sociale erano tre le caste principali che garantivano l’equilibrio, la salute ed il mantenimento interiore della Gentes Romanae. Ogni ambito era funzionale all’altro e non si ragionava in termini di sopraffazione dell’inferiore ma in termini di organicità e collaborazione sempre altamente selezionata al suo interno. Il valore individuale determinava la scelta o il privilegio di incarnare quel ruolo, ed ogni casta offriva solo il meglio del suo concentrato votato all’eccellenza. Nessuno di loro violava l’ambito dell’altro, ognuno era padrone del suo spazio deciso dal destino ed ognuno di loro era conscio del fatto di essere nato proprio per ricoprire quella determinata carica e nessun’altra. L’obbiettivo comune univa le diverse personalità presenti in funzione di un’unica visione del mondo.

CASTA SACERDOTALE: Considerata la più inaccessibile, gestiva a piene mani il sapere occulto e si preoccupava non solo di trasmetterlo nel modo giusto ma di proteggerlo da qualsiasi tendenza volgarizzante. Erano gli asceti predestinati a quel settore, erano coloro che conoscevano il potere del silenzio come strumento magico di rivelazione, detentori primari dei segreti e dei precetti derivanti direttamente dalla Scienza Sacra (da non confondere con l’attuale Scienza Ufficiale) di tutt’altra estrazione. Conoscitori profondi delle cerimonie dei ritmi e delle forme al servizio del potere rituale. Essi rappresentavano la più pura forma di religiosità spirituale, dimostrata dalla realtà politeista e dalla consapevolezza parentale con determinate divinità. Dopo e attraverso di loro nasceranno le prime forme di culto e la prima idea di istituzionalizzare la religiosità popolare. Con l’infiltrazione di alcune sette giudaiche sul tessuto culturale di quel tempo, si tornerà gradualmente all’anno zero nel concepire una qualsiasi esperienza religiosa individuale e collettiva sana, oltre che veramente connessa al Divino. La figura del sacerdote si tramuterà in concomitanza dell’avvento del programma cristiano nella figura volgarizzata del prete o nella sua forma ancora più degenerata del vicario. La Casta originaria dell’uomo europeo romano non esisterà più nella sua veste tradizionale.

CASTA GUERRIERA: I più diretti difensori del tempio, la casta dei temuti. La loro esistenza rappresentava la forma più concreta del pensiero romano in azione. Non solo raccoglimento e contemplazione dunque, ma quando era necessario anche una forma armata di orgogliosi guerrieri pronti a combattere per ciò in cui credevano. Nascono così i primi ordini cavallereschi basati sulla principale virtù del coraggio come bandiera della propria scelta di vita. Il loro ambito racchiude in un certo senso elementi derivanti dal pensiero meditato tramutato in eroismo. Loro come i sacerdoti ma su un piano differente, offrono in sacrificio il proprio corpo e dunque la propria vita sul campo di battaglia pur di contrapporsi a tutto ciò che può rappresentare una minaccia verso ciò che amano. E la responsabilità è altissima, alle loro spalle il patrimonio sacerdotale da proteggere, al loro orizzonte un possibile scenario di sconfitto e catastrofe imminente. Su di loro grava la più concreta possibilità di morire combattendo.

CASTA OPERAIA: Coloro che rappresentano la ricchezza vitale di un qualsiasi popolo attraverso il frutto del proprio impegno. I detentori del sudore e della fatica giornaliera, i volenterosi. La casta della produzione sempre feconda in ogni sua forma, che sia quella dei sapienti, dei contadini, dei pionieri, degli artisti e dei poeti. La base più importante che ogni gerarchia piramidale dovrebbe augurarsi per non temere mai nessun vero crollo. Individui prima e cittadini poi, a posto con se stessi e con le capacità a loro riconosciute e valorizzate, gli unici abitatori del loro mondo sicuro perché condiviso. Le genti simili per provenienza e destinazione.

FUNZIONE E RUOLO DEL CAPO: << Il nostro capo è una parte di noi, noi siamo ciò che lui rappresentare  >>. In tempi romani la figura dell’imperatore veniva accettata grazie a questo semplice assunto mentale, infatti il capo doveva essere sempre colui che incarnava quell’interesse comune o bene supremo, legato dalla volontà divina. Colui che veniva investito di un tale incarico non poteva essere un uomo come gli altri, anche per il solo fatto che aveva accettato un tale dovere politico dal peso non indifferente. Esattamente come gli altri ambiti sopra descritti, anche lui era un predestinato, ovvero nato per assurgere proprio a quel ruolo sociale, perché possedeva quella specifica personalità e predisposizione comportamentale e aveva quella scintilla che gli permetteva di provare ad essere il miglior capo possibile. Nella possibilità concessagli dalla storia, ogni capo sapeva che in quel preciso spazio di tempo doveva compiere il suo dovere derivante proprio da quella sua indole speciale. Alcuni ne approfittarono per dimostrare per esempio le più grandi doti conquistatrici, che hanno permesso l’arricchimento di molti altri popoli (non romani) attraverso le qualità culturali esportate dalla romanità, i possedimenti dell’Impero vennero estesi come non mai nel periodo Cesareo e Giulio Cesare venne ricordato soprattutto per questa sua opera di espansione imperiale. Va precisato che non vi furono sempre imperatori all’altezza del ruolo, ma ciò derivava spesso anche dal periodo più o meno decadente che magari si trovava ad attraversare Roma. Idealmente parlando un vero Capo deve essere innanzitutto un natio autentico del proprio suolo di origine, il primo tra i cittadini innamorato della sua città e della sua natura. Un visionario ponderato ma coraggioso, il primo tra le sue genti pronto a sacrificarsi per salvare la moltitudine, ma anche colui pronto a assumersi la piena e totale responsabilità di un suo possibile fallimento. Il potere in mano ad una persona significava innanzitutto responsabilità del ruolo più difficile fra tutti. Nei brevi periodi in cui Roma non si è potuta permettere la democrazia, un capo irruppe per ripristinare il bene comune di cui era capace.

Questi i pilastri inamovibili della Tradizionale romana più autentica. O per meglio dire; gli indirizzi che strutturavano la continuità di un qualcosa che si divideva tra la sfera più ideologica a quella più votata alla struttura pratico/sociale. Se questi stessi orientamenti non fossero stati quello che hanno dimostrato in termini di funzionalità la grandezza romana che oggi narriamo non avrebbe lo stesso aspetto che ancora tanto ci incanta. I loro risultati pratici non avrebbero avuto l’eco e la statura formativa che invece avranno per l’eternità. Ogni cosa aveva un RUOLO, vigeva l’indirizzo dell’unica essenza, senza l’intento irriverente di travisare concetti e parole pur di istillare diffidenza e incomprensione - Capo uguale tiranno, sacerdote uguale prete, gerarchia uguale sudditanza dei superiori che schiacciano gli inferiori  - Dove ci sarà ancora una tale inversione dei significati originari, la verità custodita nella tradizione morirà sempre di più. Solo l’asse simbolico potrà trarre in salvo dalla falsificazione del senso tradizionale, cogliendo da alcuni simboli il meglio del loro messaggio in chiave esoterica. Ai Simboli eterni viene dato il compito di ricordare alcuni punti fermi attraverso il sentimento impresso dalle loro forme. Un’immagine può racchiudere normalmente tre livelli interpretativi, il primo apparente, quello cioè più facilmente osservabile che non richiede particolari doti. E’ chiaramente quello che sembra e li si ferma ogni altra cosa. Il secondo livello  intermedio che si limita a fare da ponte tra il primo livello ed il terzo, con nomi e nozioni storiche.  Infine il terzo livello invisibile per i più ma scrigno del vero e più importante significato. Chi arriva a cogliere questo punto ha gli strumenti per riunificare i tre livelli ed apprezzare l’intero scopo del simbolo e il suo messaggio diventerà un’opportunità senza eguali per l’osservatore audace. A tal proposito ho qui di seguito riunificato quei simboli  che secondo alcuni studiosi hanno rappresentato nel corso dei secoli un filo conduttore tradizionale ben determinato per poter aprire un varco interpretativo unico e decisamente rivelatore.

GIANO BIFRONTE: Mitologicamente parlando, il primo Dio romano. Ianus Bifrons sarà colui che prenderà anche il posto dell’antica dea Cardea nella prima forma del calendario lunare. L’aspetto caratteristico di Giano appare con due volti che guardano nelle due direzioni opposte. Il suo significato principale rappresenta il superamento della dualità attraverso la doppiezza apparente che incarna. In epoca classica diventerà anche Ianus Pater, ovvero padre e Dio degli stessi Dei. Tra le principali divinità marine, era inoltre considerato protettore delle navigazioni, dei porti e delle vie fluviali. Il simbolo del Giano Bifronte un monito concettuale dentro una cornice che fa da apri pista a tutti i successivi templi dedicati al sacro Culto di Giano. Numa Pompilio dedicherà a Giano il primo mese successivo al solstizio d’inverno, Gennaio. Da quel momento Ianus diventerà l’inizio e la fine, il guardiano dell’anno.

AQUILA: L’animale predatorio dell’aquila è forse il più noto tra gli animali simbolo della legione romana. L’aquila imperiale ad ali spiegate con il capo volto a destra era l’emblema per eccellenza dell’Impero Romano. La sua rappresentazione bicefala esprimeva l’unificazione dei due imperi, quello d’Oriente e quello d’Occidente. Era sempre presente in ogni insegna e in ogni scettro che precedeva tutti i nuovi insediamenti in nuove terre. L’aquila è il simbolo del carattere romano, che unisce pericolosità ed eleganza, precisione d’attacco e visione dall’alto. Le sue alture rappresentano in modo figurato l’ascensione spirituale a Dio.

FASCIO LITTORIO: Formato da dodici verghe e una scure nel mezzo, il tutto viene legato insieme da un laccio di cuoio rosso. E’ un simbolo di riscossa morale, di giustizia e di potere, la sua struttura infatti è stabile perché composta ordinatamente da pochi elementi fasciati insieme da un unico filo dello spirito. La scure bipenne è lì a svettare lucente, quasi a monito degli incerti, è l’emblema della stabilità che perdura. Il fascio littorio rimembra ad ogni animo coraggioso l’importanza dell’unità della forza nell’esercizio dell’unica giustizia.

LA CROCE: Simbolo spirituale precedente all’avvento del Giudeo/Cristianesimo, rappresentava l’inclinazione religiosa insita in ognuno di noi. L’incontro dei due assi doveva essere l’obbiettivo interiore dell’uomo e della donna romana, la croce latina in particolare sembra avere connessioni con i primi culti naturali italici precedenti perfino alla nascita della città di Roma. Quindi la sua reminescenza è simbolo profondo di un collegamento che sempre si rinnova nel ricordo del sentimento mistico più incontaminato. Il suo significato successivo a Costantino caratterizzerà un simbolo totalmente differente per significato e trasporto, e sarà un simbolo di tortura e sofferenza, a cui verranno ricondotti tutti i messaggi morali principali dell’attuale Cattolicesimo. La croce in legno verrà coperta dal cadavere di un morente Gentile incarnato dalla figura Cristica e ad essere messo metaforicamente in croce non sarà soltanto un uomo di una religione fittizia, ma l’intero Clan gentilizio Italo Romana. Nonostante influssi abramitici la croce rimane il simbolo pre cristiano per eccellenza di un senso al sacro insito in noi. Dunque di cos’altro può aver bisogno un qualsiasi viandante che si trova a vivere la propria esistenza caratterizzata dal risveglio massimo di se stesso, se non il monito costruttivo di GIANO che con il suo duplice sguardo ci prepara ad ogni forma fuorviante di dualità, il FASCIO e la scura bipenne come unica arma da mantenere intatta nella sua forma originaria, perfino durante ogni volteggio tramite le nostre grandi ali da AQUILA dallo sguardo inamovibile mentre influssi malevoli intorno a noi cercano in ogni modo di incrinare i nostri due assi interiori che incrociandosi in un unico punto della nostra anima ci sostengono a forma di CROCE, nella possibile scoperta di quel senso al sacro che nessuno può veramente strapparci.

L’affinità inevitabile tra la Tradizione e i cicli naturali vissuti pienamente nel loro influsso ancestrale diede vita al Calendario Romano nelle sue numerose varianti. Il calendario di Romolo fu il primo che si ricordi ed era composto da dieci mesi, da lì si cominciò ad ordinare ogni mese ad una lunazione. Si proseguì con quello lunare di Numa Pompilio che allineò l’anno del calendario a quello solare e quello Agricolo con la connessione dell’anno con gli eventi astronomici. I Solstizi e gli Equinozi verranno introdotti durante il calendario legato ai fenomeni stellari, si passa così attraverso il calendario Lunisolare di Giuliano e alla celebrazione delle principali Feste. Ogni celebrazione per i romani rappresenta un passaggio da uno stato ad un altro scandito dalle energie della natura e delle costellazioni che insieme si univano allo sguardo dei propri Dei in una danza sublimata da momenti propizi per attuare un qualcosa di determinante.

Iniziamo da quella dei Saturnalia (17 – 23 Dicembre) ovvero la festa originale della Tradizione Romana precedente al successivo fittizio natale cristiano. Tale ricorrenza nasceva dalla volontà di ricreare l’antica età dell’Oro donata un tempo dal Dio Saturno alle genti romane che lo avevano acconto benevolmente tra di loro. Durante i Saturnalia ogni dinamica veniva sospesa, ogni aspetto bellicoso della vita del popolo veniva interrotto, in favore di uno stato surreale di pace e serenità. La cerimonia pubblica prevedeva una processione al tempio di Saturno con successivo banchetto dove ci si scambiavano anche dei doni. Quella privata continuava tra eccessi e balletti che coinvolgeva ogni classe sociale senza distinzione. In tale ricorrenza predominava l’aspetto festoso in contrapposizione con ciò che diventerà tale periodo dell’anno in mano al copione cristiano. Il 25 Dicembre il Sole Invitto apriva la stagione invernale al seme del freddo rigeneratore nella notte più lunga dell’anno. In tale data si festeggiava la nascita del Dio Mitra in concomitanza con il l’inizio del solstizio d’inverno. Altra festa che nella sua veste più antica si festeggiava subito dopo i Saturnali era quella denominata Compitalia, 3/4/5 Gennaio. In tali date gli uomini e le donne d’Italia consapevoli del proprio retaggio onoravano gli antenati protettori sotto il nome di Lari, Lasi, Lasae e Compitali a protezione dei confini delle proprietà di famiglia. Si attraversava così un Febbraio dedicato agli spiriti protettori degli antenati defunti che dovevano raggiungere ancora una volta il fuoco dei Lari. Periodo dell’anno dove si portavano delle maschere durante le cerimonie commemorative dei propri defunti, all’interno dei cimiteri romani. Oggi tale usanza richiama abbastanza e non a caso il moderno Carnevale. Febbraio era anche il mese del Dio Fauno Luperco con la sua festa corrispondente detta dei Lupercali (15 Febbraio) periodo dedito al travestimento e alla purificazione. Sul finire dello stesso mese, intorno al 24 e secondo il computo lunare, cominciava il mese di Marzo con il Calendimarzo il vero capodanno italico. Sotto lo sguardo di Marte in tale periodo detto Capodanno Marzio, cominciava la stagione legata all’agricoltura e alla guerra. Le Idi di Marzo del 9 durante la notte di luna piena si chiudevano le festività del calendario Lunisolare. In un bosco sacro nei pressi di Roma, celebrato il rito le famiglie e gli innamorati festeggiavano per tutto il resto della giornata in onore della Dea Anna Perenna e di Marte. Si giungeva così alla data forse più significativa per i tradizionalisti più romantici, ovvero quella del 21 Aprile (Palilia e Dies Natalis Romae) giorno della fondazione di Roma. Attraverso la benevolenza del Dio Pales protettore delle comunità pastorali etrusche, latine e sabine, Romolo fonda la città, tra capanne, pecore e fango. Nel periodo del Calendimaggio (1 Maggio) che trae la sua origine dai parenti celti con la loro Beltane, almeno nelle zone più prettamente settentrionali, si affronta un periodo dove l’aspetto della natura più infera e selvaggia affronta gli spiriti dei morti insoddisfatti che visitano la casa dei propri parenti per essere placati tramite un particolare rito composto da offerte e canti. Intorno al 4 Giugno si rinnova il Fuoco di Vesta attraverso il mese della massima luce che genera le ombre più lunghe, grazie a Giunone il grano matura e viene raccolto. Alle calende del mese di Agosto si dedica tutta la propria energia alla festa del raccolto che raduna tutte le tribù galliche/romane. Sotto il Dio gallico Lugos si procede al conteggio ed alla spartizione dei frutti della terra. Si arriva così davanti le porte del primo Mundus Patet corrispondente al 24 Agosto, la fossa di un edificio sotterraneo fatto in pietra scura veniva aperta e con essa si apriva anche il varco per comunicare con le entità del mondo sotterraneo. In tale periodo le sacerdotesse dei culti segreti della Dea Cerere e le streghe più anziane percorrevano in una processione silenziosa un tragitto poco fuori il centro abitato, illuminate dalle sole luci delle loro candelore. Arrivate davanti le porte di accesso della fossa vi entravano compostamente una alla volta per uscirne solo alle prime luci dell’alba. Il loro compito era quello di affrontare soprattutto gli spiriti dei Lemuri e riuscire a placare le loro possibili cattive intenzioni con doni profumati ed offerte di fiori. Nella seconda tappa del Mundus (intorno al 5 Ottobre) le sacerdotesse ponevano nei trivi altri dolci e bevande per gli spiriti di ogni tipo ed estrazione, il rituale in questa fase prevedeva inoltre una comunicazione medianica ancora più intensa e per certi versi pericolosa, in modo da trarre dal quelle esperienze profonde ispirazioni per possibili visioni profetiche. Il 13 Ottobre (quindi tra la seconda fase del mundus e l’ultima) si onorava anche la festa di Fontinalia. Ricorrenza dedicata alle fonti sacre delle sorgenti, dei fiumi e dei torrenti, affinché l’acque elemento primordiale indispensabile, da ogni parte con le sue correnti ci aiuti a mantenerci puri come una fontana che sgorga dalla roccia per rinascere dentro di noi. Trascorso fine Ottobre si arrivava così all’ultima fase del Mundus fissata per l’8 Novembre, il carattere oscuro prettamente pagano di tale cerimonia dedicata alla dimensione degli spiriti dei morti attraverso i poteri personali delle streghe, si concludeva con rituali danzanti ancora più inaccessibili, nella profondità di una lunga notte si consumavano preziose rivelazioni tra due mondi per quell’ultima notte connessi indistintamente. Il Mundus Cereris veniva richiuso. Reminescenze derivanti da queste stesse atmosfere seminate dal Mundus si possono ritrovare chiaramente nel Samhain, più noto in Occidente come Halloween, celebrato ufficialmente il 31 Ottobre.

Tutte le Civiltà di origine indoeuropea, hanno avuto la grandissima particolarità di voler configurare il divino nel modo più diretto possibile. Il complesso delle figure divine di un sistema politeistico diviene così strutturato secondo un ordine che ne semplifica la rappresentazione, ci accorgiamo in tal modo che il Pantheon Greco e quello Romano pur variando nei nomi, contengono gli stessi Dei. La grande famiglia è sempre quella, divisa tra due gruppi distinti ma collegati dalla stessa affinità naturale. Infatti l’identificazione animica che la cultura greca esercita su quella romana è giustificata dagli stessi Dei da cui provengono entrambi gli schieramenti. Tanto è vero che l’assorbimento estetico che ne seguirà non subirà interruzione o stravolgimento di sorta, lo stile ed il senso del bello è sempre quello, l’architettura greca ripresa dal romano è l’estensione naturale dettate dalla stessa sensibilità spirituale del mondo. Nel Pantheon Romano Il Dio Crono (greco) diventerà il Dio Saturno per i romani, salvo Apollo e Urano rispettivamente Dio del Sole e del cielo, tutti gli altri Dei variano nei nomi ma non nelle loro caratteristiche principali. Ares dei greci verrà chiamato Marte dai romani, così come Afrodite dea dell’amore diventerà Venere per i romani e così via. Perfino lo stesso Dio del mare verrà chiamato Poseidone in Grecia ma Nettuno a Roma. Ventuno Nomi di divinità differenti con le stesse peculiarità. Dire con certezza tra quali di queste nomi si celi Satana non è cosa semplice, riconoscerlo soltanto tramite alcune caratteristiche potrebbe non bastare, bisogna necessariamente considerare la sua presenza o al di sopra delle parti o nel mezzo. Più riconoscibili invece altri Dei o Demoni di Alto Rango che si possono individuare seguendo semplicemente le caratteristiche con cui venivano descritti e che ritornano oggi come un tempo. Alcune correnti di pensiero collocano Satana tra le figure di Apollo e Urano, perchè sarebbero anche le uniche entità ad aver mantenuto inalterati gli stessi nomi sia in Grecia che a Roma forse proprio per indicare velatamente il riferimento allo stesso Dio Occulto, altre teorie sempre all'interno di un certo ambiente satanista, collocano invece l'identità di Satana tra le file misteriche legate al Culto della Dea Madre ed a ogni altra emanazione direttamente o indirettamente legata sempre a lei. Infine i più tradizionalisti si rifanno sicuri alla figura di Dianus per riconoscerlo, ovvero il fratello, figlio e consorte della Dea Diana poi divenuto Eosforo dal greco e Signore della luce e del mattino (Lucifero) per i latini. Mi è stato suggerito di non concedere la possibilità di svelare la sua unica identità tra le genti di questa precisa epoca ma ciò che è certo è che Satana ha dato alla Tradizione Romana parte dei suoi semi migliori per renderla definitivamente grande di fronte alla storia del mondo. Potrebbe essere stato riconosciuto e adeguatamente onorato nelle file sacerdotali più riservate con un solo grande nome mai svelato o essere stato messo successivamente nel Pantheon ufficiale suddiviso per differenti caratteristiche attraverso più divinità che ne garantivano in questo modo la protezione e la mai completa  individuazione da parte dei plebei più invadenti. Chi può dirlo, lasciamo pure tale questione tra le trame della Roma più segreta, esiste ovviamente un veto non scritto su questo punto che non ho intenzione di violare proprio io, iniziato sicuramente nei meandri del tempo passato per un determinato motivo, credo vada rispettato anche solo per non doverlo infrangere senza una ragione più che valida. Quello che posso dire con una moderata certezza è che Satana/Lucifero - inteso esclusivamente come un’Entità pre cristiana, sia nel nome che nella sua connotazione non negativa - è stato sicuramente conosciuto attraverso innumerevoli Culti Misterici, nati esclusivamente per contenere e tramandare le conoscenze da lui trasmesse. Nei periodi più regali di Roma, tale tendenza si mantenne perfettamente in asse con se stessa, perché la sfera misterica con quella pubblica si riusciva a mantenere in perfetto equilibrio con la dimensione religiosa della vita del romano. Vi era uno scambio altamente rispettoso tra chi viveva sotto e chi viveva al di sopra ed in mezzo la collettività ma non vi fu mai una violazione nelle rispettive sfere. Con l’avvento del Giudeo/Cristianesimo fu proprio la sfera pubblica a subire per prima il cambiamento più violento, e lo stato di equilibrio che aveva perdurato per tanto tempo cominciò da quel momento a modificarsi tramite la menzogna e compromettendo gradualmente anche la sfera delle verità sotterranea riguardante Satana. Proprio lui insieme ad altre antiche divinità divennero inesorabilmente malvagie e relegate al ruolo di diavoli nell’unica versione della storia chiamata bibbia.

Un Satanista di oggi, esattamente come fece lo stregone dedicato o il sacerdote eretico di un tempo, deve comprendere che non è nel più istituzionalizzato Tempio degli Dei che potrà ritrovare tutto quello che cerca in termini di chiarezza espositiva ma è sotto il velo di quella stessa rappresentazione semplificata che potrà sentire la Verità integrale nella sua unica veste indossata da Lucifero in persona. L’antichità nella rappresentazione del sacro ha trovato nell’iconografia del Pantheon romano la sua sede ideale per trasmettere semplicemente un’idea figurata ma di provenienza divina. Questo il piccolo dettaglio che vale un’intuizione. Ma quali sono i punti in comune effettivi tra un certo Satanismo di stirpe (da noi oggi concepiamo e riconosciamo perché depurato da ogni inquinamento abramitico) e questo scorcio di storicità chiamato Tradizione Romana?! I punti in comune sono abbastanza indiscutibili da farci sentire orgogliosamente dei Satanisti Italiani, a parte la visione politeista è nel pensiero religioso che possiamo cogliere le affinità più interessanti. Per prima cosa il senso parentale con gli Dei e non la semplice passiva sottomissione, il rapporto intimo affettivo che accomuna la paganità romana con ogni Culto legato a Satana. E già solo una tale similitudine ci pone nell’immediato in totale opposizione con ogni derivazione Giudeo/Cristiana e con ogni setta monoteista. La mancanza di libri sacri nel regolare il rapporto con gli enti e con noi stessi, la condotta personale derivante esclusivamente dalla nostra etica naturale, l’approccio al sapere come strumento di evoluzione personale, l’integrazione al sapere magico e l’apertura al sapere iniziatico. La considerazione per i propri simboli di riferimento come prolungamento di ciò in cui crediamo nella vita come nel rito. Ed infine ma non meno significativo, l’avere in comune il suolo da dove si proviene, ed il legame che con esso si crea nell’unica linea di sangue divina che ci unisce definitivamente. Gran parte del Romano di un tempo si ritrova nel Satanista Italiano di oggi, che riesce ancora ad osservarsi incantato tra gli sguardi dei suoi stessi Dei.

Nel 476 d.C come si sa, crolla definitivamente L’Impero Romano D’Occidente, mille anni dopo anche quello D’Oriente. Ma la caduta definitiva di Roma non avviene esclusivamente per mano dei barbari, che se vogliamo rappresentano soltanto il colpo di grazia inferto ad una Società che già da tempo si stava avviando verso il suo tramonto. Un lento processo iniziato in sordina con le prime infiltrazioni di un determinato gruppo di nomadi predicatori confusi tra la moltitudine di invasori comuni determinarono la fine di Roma attraverso la più letale delle armi, ovvero l’introduzione in sordina del meticciato più indiscriminato, seguito dalla corruzione ed il sovvertimento delle basi ideologiche di un’intera Civiltà. Tale subdola forma cancella popoli, segnò definitivamente il destino di un’epoca luminosa provocando naturalmente altri effetti a catena che ne chiusero il cerchio. Vedi per esempio la metamorfosi avvenuta nella mentalità del cittadino/guerriero prima e quella del cittadino/suddito poi. Una forza distruttrice puntando fin da subito all’indebolimento dell’unica radice di specifica particolarità biologica si assicurò il clima ideale per la miglior corruzione che gli facilitò la sua ascesa attraverso la nascita e l’introduzione definitiva dei programmi religiosi Giudeo/Cristiani. Avviene così il più grande saccheggio culturale della storia e la più grande Civiltà cuore del mondo antico verrà soppiantata dalla più infima Chiesa plebea. Il resto è storia come si suol dire ed infatti le opinioni sulle reali cause della caduta dell’Impero Romano si diversificano su questo punto, la maggior parte degli appassionati di storia si concentrano sugli effetti secondari all’unica vera causa razziale, concentrandosi su dell’altro sicuramente sensato ma non originario alla vera causa prima del problema. Roma cadde nel momento in cui decise di assimilare determinati allogeni che portarono con loro non soltanto la sabbia per le strade ma anche il deserto dentro di loro. L’indole meno compatibile fra tutte nell’essere accolta da una qualsiasi forma di tradizione, si dimostrò invece abilissima nell’arte della manipolazione più tentacolare. Un certo sangue regale si diluì definitivamente e la Roma storica cadde per sempre nell’oblio dell’attuale Occidente omologato.

Quella a non morire mai, a non cadere mai, a non crollare MAI è stata invece la memoria degli avi che per nostra fortuna viaggia attraverso ben altri canali e non attraverso le pagine della sola narrazione scritta. Lì non c’è intruso che possa trionfare a meno che non saremo noi a dargli le chiavi della nostra stessa debolezza o ingenuità. Per ogni invito a dimenticare gli echi del nostro passato migliore, noi sovrapporremo la volontà ad amare ciò che ci è simile per unicità spirituale. Certi intrusi agiscono ancora nel nostro tempo, anzi per dirla tutta sono loro adesso i “padroni” delle idee materialiste più fuorvianti, gli stessi che fecero crollare la Roma imperiale pur di imporre il loro regno ANTI tradizionale. Se un certo passato non ritornerà prima dentro di noi, non rinascerà mai sotto nuove forme coerenti anche al di fuori. E’ abbastanza inglorioso assecondare ogni opinione che vuol far passare i difetti ed i lati meno comprensibili del periodo dell’impero romano come gli unici rappresentanti di un’intera epoca passata. Attenzione, perché oggi come un tempo è proprio nel barbaro plebeo che si sente ormai integrato, che risiede la più forte volontà nell’allontanarci dalle nostre lecite radici culturali tramite precise svalutazioni storiche da lui stesso orchestrate. Ogni puro Satanista della Tradizione è forse l’unico ancora in grado di leggere la realtà circostante al momento giusto, e di comprendere quanto ci si trovi da molto prima della nascita di Roma, in una guerra invisibile di stampo Spirituale. Ancora troppi Ario Romani semi addormentati pur riconoscendosi estranei alla Dottrina della Chiesa compiono un mezzo giro incompleto di quasi liberazione dal loro indottrinamento e rimangono inconsciamente ancorati ad una religione NON italica che esclude l’unico Dio di appartenenza e provenienza. Il resto magari lo collegano alla perfezione ma mancando del tutto il tassello che li porterebbe dritti al nome del Creatore di ogni vero popolo europeo. E’ sicuramente la colpa più grande fra tutte, il permettere a qualcuno di farci dimenticare da dove proveniamo spiritualmente, se si è un vero Satanista Ario Italico Romano.

Il suddetto scritto vuole essere un semplice omaggio che prova a ricollegare definitivamente su un unico asse storia e identità satanica, da parte di un dedicato nostrano come me. Non troverete scritto tutto quello che poteva contenere, d’altra parte nessun lavoro potrà mai sintetizzare ciò che il periodo romano contiene di più significativo. La Verità portante della Tradizione romana punta al riconoscimento interiore dei suoi osservatori per esprimersi al meglio, ma serve che il motto dantesco ci apra in tal senso la Via nel seguir Virtute e Canoscenza e ci ricordi anche nei momenti di peggior smarrimento da quale luogo magico saremo per sempre figli e difensori.

 

 

Mandy Lord

Anno MMXXI

 

 

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